“Che bello, il Natale. Adoro le luci, i colori, lo scintillìo delle strade colorate”. “Mi piace fare i regali. Mi piace pensarli!!”. “Che bello ritrovarsi tutti!”. “Che gusto, queste cene fantastiche...”. “Il Natale, a me, dà solo tristezza”. “Tutto questo correre per i regali mi sembra solo un consumismo colossale che mi amareggia e basta”. “Che senso di estraneità! Sembra un film: tutti felici, la città è piena di luci e io ho il gelo nel cuore...”. “Mi sento così sola, a Natale. E’ come se tutto mi crollasse dentro...”.
Per molte persone, il Natale ha un altro volto. Non quello luccicoso e sorridente che ammicca dai negozi scintillanti e dalla pubblicità, ma quello amaro della solitudine, della tristezza, dell’amarezza, del dolore di vivere. Reso ancora più nitido, più acuto e doloroso per il contrasto stridente con la felicità festosa, più o meno vera, degli altri. Il periodo natalizio può essere triste e difficile. Al punto che si parla di “tristezza di Natale”, o di “Christmas blues”, malinconie natalizie, come le chiamano gli inglesi.
Il contrasto tra i luccichii esteriori, e la solitudine che molti avvertono nella propria vita, può essere così stridente da diventare intollerabile. A volte c’è un fatto obiettivo, come il vivere davvero da soli, senza solidi rapporti familiari. Molto più frequentemente, la famiglia esiste dal punto di vista anagrafico: tuttavia non è percepita come fonte di affetto, di sostegno, di calore, ma come un insieme quasi casuale di persone che condividono poco o nulla di quel che conta davvero nella vita, soprattutto dal punto di vista affettivo. Anche questa percezione può a volte basarsi su dinamiche reali. Più spesso, tuttavia, è la conseguenza di una percezione dei fatti alterata da un forte stato depressivo, esasperato dalle feste. Il problema quindi esiste, e può causare molta sofferenza interiore, soprattutto nelle persone più vulnerabili.
Possiamo intuire chi ne possa soffrire di più, per aiutarlo? Sì. Questa malinconia compare con maggiore frequenza in chi soffra di disturbi dell’umore, specie se di tipo “ciclotimico”, in cui cioè si alternano periodi di buonumore e di serenità ad altri di pessimismo, di tristezza pervadente, di negatività senza luce. E’ più frequente nelle donne che abbiano già sofferto di depressione. E’ crescente negli adolescenti, specie quando il dialogo in famiglia si limiti alle “comunicazioni di servizio” senza alcuna vibrazione affettiva. E aumenta negli anziani di ambo i sessi, sia per l’effetto dell’età, che tende a ridurre la serotonina, il neurotrasmettitore che aumenta il nostro stato di benessere, sia per l’effetto della crescente solitudine con cui molti vecchi si confrontano, soprattutto se vivono da soli.
Esistono due fattori di vulnerabilità: uno, biologico, che possiamo definire “predisponente”: è dovuto a fattori genetici, che inducono minori livelli nel cervello di serotonina. Questo significa guardare la vita senza più lenti colorate, avendo sugli occhi solo lenti grigie o nere. Questa tristezza “biologica” può sfociare in una depressione franca, se fattori esterni “precipitanti” – la solitudine, la mancanza di dialogo e di affetto, a volte le stesse difficoltà economiche in un periodo in cui sembra che tutti debbano spendere di più, in pranzi e regali – scompensano lo stato psichico già più vulnerabile. Ecco che allora, per evitare il ripetersi di un Natale triste, per noi o per le persone cui vogliamo bene, dobbiamo intervenire in tempo. Agendo su due fronti: medico e affettivo. Il medico di famiglia può ridurre la vulnerabilità biologica, aiutando a “cambiare le lenti” grazie a piccole quantità di farmaci, chiamati “inibitori della ricaptazione della serotonina”, che aiutano, già a basse dosi, a riportare a livello normale, o comunque più fisiologico, livelli di serotonina troppo bassi. Questo aiuta il cervello, proprio nella sua struttura biologica, a migliorare lo stato emotivo di base, riducendo la vulnerabilità ai fattori esterni negativi.
Sul fronte affettivo, il rimedio è alla portata di tutti. Sta a ciascuno di noi aiutare chi è solo, o chi si sente solo. Soprattutto a Natale. Come? Sintonizziamoci sui sentimenti di chi ci sta vicino. Riserviamoci un po’ di tempo per andare a trovare persone sole, o malate, o in difficoltà. Per abbracciarle. Per conversare un po’, tenendo le mani nelle mani. E’ così essenziale il contatto di pelle. E’ il più potente antidoto alla tristezza. Anche a Natale. Se abbiamo figli, coinvolgiamoli in queste piccole buone azioni, che li educhino ad uscire dall’egoismo imperante dei nostri tempi. Ricordiamoci di fare un trillino di auguri e di buon giorno, specie durante le feste. Portiamo a chi è solo un fiore, un ciclamino, una stellina di Natale che illumini la casa con il suo colore, con un biglietto molto affettuoso. Portiamo un ramo di calicanthus, che la riscaldi con il suo profumo. O cioccolatini colorati, per una pausa di dolcezza.
Piccoli gesti scelti, di tempo, di tenerezza e di attenzione. Per aiutare ogni persona rattristata a sciogliere la malinconia. Per aiutarla a credere, con un gesto concreto, che ci sia ancora spazio per un sorriso, per lei, anche a Natale.
Per molte persone, il Natale ha un altro volto. Non quello luccicoso e sorridente che ammicca dai negozi scintillanti e dalla pubblicità, ma quello amaro della solitudine, della tristezza, dell’amarezza, del dolore di vivere. Reso ancora più nitido, più acuto e doloroso per il contrasto stridente con la felicità festosa, più o meno vera, degli altri. Il periodo natalizio può essere triste e difficile. Al punto che si parla di “tristezza di Natale”, o di “Christmas blues”, malinconie natalizie, come le chiamano gli inglesi.
Il contrasto tra i luccichii esteriori, e la solitudine che molti avvertono nella propria vita, può essere così stridente da diventare intollerabile. A volte c’è un fatto obiettivo, come il vivere davvero da soli, senza solidi rapporti familiari. Molto più frequentemente, la famiglia esiste dal punto di vista anagrafico: tuttavia non è percepita come fonte di affetto, di sostegno, di calore, ma come un insieme quasi casuale di persone che condividono poco o nulla di quel che conta davvero nella vita, soprattutto dal punto di vista affettivo. Anche questa percezione può a volte basarsi su dinamiche reali. Più spesso, tuttavia, è la conseguenza di una percezione dei fatti alterata da un forte stato depressivo, esasperato dalle feste. Il problema quindi esiste, e può causare molta sofferenza interiore, soprattutto nelle persone più vulnerabili.
Possiamo intuire chi ne possa soffrire di più, per aiutarlo? Sì. Questa malinconia compare con maggiore frequenza in chi soffra di disturbi dell’umore, specie se di tipo “ciclotimico”, in cui cioè si alternano periodi di buonumore e di serenità ad altri di pessimismo, di tristezza pervadente, di negatività senza luce. E’ più frequente nelle donne che abbiano già sofferto di depressione. E’ crescente negli adolescenti, specie quando il dialogo in famiglia si limiti alle “comunicazioni di servizio” senza alcuna vibrazione affettiva. E aumenta negli anziani di ambo i sessi, sia per l’effetto dell’età, che tende a ridurre la serotonina, il neurotrasmettitore che aumenta il nostro stato di benessere, sia per l’effetto della crescente solitudine con cui molti vecchi si confrontano, soprattutto se vivono da soli.
Esistono due fattori di vulnerabilità: uno, biologico, che possiamo definire “predisponente”: è dovuto a fattori genetici, che inducono minori livelli nel cervello di serotonina. Questo significa guardare la vita senza più lenti colorate, avendo sugli occhi solo lenti grigie o nere. Questa tristezza “biologica” può sfociare in una depressione franca, se fattori esterni “precipitanti” – la solitudine, la mancanza di dialogo e di affetto, a volte le stesse difficoltà economiche in un periodo in cui sembra che tutti debbano spendere di più, in pranzi e regali – scompensano lo stato psichico già più vulnerabile. Ecco che allora, per evitare il ripetersi di un Natale triste, per noi o per le persone cui vogliamo bene, dobbiamo intervenire in tempo. Agendo su due fronti: medico e affettivo. Il medico di famiglia può ridurre la vulnerabilità biologica, aiutando a “cambiare le lenti” grazie a piccole quantità di farmaci, chiamati “inibitori della ricaptazione della serotonina”, che aiutano, già a basse dosi, a riportare a livello normale, o comunque più fisiologico, livelli di serotonina troppo bassi. Questo aiuta il cervello, proprio nella sua struttura biologica, a migliorare lo stato emotivo di base, riducendo la vulnerabilità ai fattori esterni negativi.
Sul fronte affettivo, il rimedio è alla portata di tutti. Sta a ciascuno di noi aiutare chi è solo, o chi si sente solo. Soprattutto a Natale. Come? Sintonizziamoci sui sentimenti di chi ci sta vicino. Riserviamoci un po’ di tempo per andare a trovare persone sole, o malate, o in difficoltà. Per abbracciarle. Per conversare un po’, tenendo le mani nelle mani. E’ così essenziale il contatto di pelle. E’ il più potente antidoto alla tristezza. Anche a Natale. Se abbiamo figli, coinvolgiamoli in queste piccole buone azioni, che li educhino ad uscire dall’egoismo imperante dei nostri tempi. Ricordiamoci di fare un trillino di auguri e di buon giorno, specie durante le feste. Portiamo a chi è solo un fiore, un ciclamino, una stellina di Natale che illumini la casa con il suo colore, con un biglietto molto affettuoso. Portiamo un ramo di calicanthus, che la riscaldi con il suo profumo. O cioccolatini colorati, per una pausa di dolcezza.
Piccoli gesti scelti, di tempo, di tenerezza e di attenzione. Per aiutare ogni persona rattristata a sciogliere la malinconia. Per aiutarla a credere, con un gesto concreto, che ci sia ancora spazio per un sorriso, per lei, anche a Natale.
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