“Per ogni donna che muore di parto, muore la speranza nella sua famiglia. Muore la speranza nei suoi bambini, che restano orfani e soli, spesso in condizioni di estrema povertà. Muore la speranza di una nazione”. Così ha detto la Dr.ssa Nkosazana Dlamini Zuma, Ministro degli Esteri del Sud Africa, alla cerimonia inaugurale del Congresso Mondiale di Ginecologia e Ostetricia, che si è tenuto in questi giorni a Capetown. In Africa, muore per questa ragione una donna al minuto: più di 500.000 mila donne l’anno. Una cifra impensabile in Europa o in Italia, dove la morte di parto, oggi, è un evento fortunatamente del tutto eccezionale.
Con una voce bassa, calma e insieme vibrante, in cui abitava il dolore millenario delle donne d’Africa, questo ministro straordinario ha preso il cuore degli 8.000 ginecologi presenti, arrivati da tutto il mondo. Non ho mai ascoltato una relazione simile, in cui la verità drammatica della condizione femminile fosse trasmessa con tanta solidità di dati e insieme con un’emozione profonda, con una verità di sentimenti trasmessa da una voce così persuasiva da trapassare tutte le armature di difesa razionale occidentali.
Lo scenario della condizione femminile in Africa resta drammatico: la morte per aborto, spontaneo o procurato, per una gravidanza in cui non c’è adeguata assistenza o cura prenatale, per eclampsia, malattia che compare in gravidanza con crisi ipertensive acute associate a insufficienza renale, o per parto, resta altissima. Ma è drammatico anche il prezzo che le donne pagano in salute, per gravidanze e parti assistiti in modo non professionale e con altissima mortalità nei neonati e nei piccoli entro il primo anno di vita. Resta altissima la percentuale di prolassi, ma anche di due disturbi, la incontinenza urinaria e/o fecale, conseguenti a parti traumatici o operativi, con forcipe o ventosa, che uccidono la dignità della persona. Così come è tragico, per una donna, accettare che un parto traumatico possa causare delle fistole, ossia dei canali di comunicazione tra ano/retto e vagina, determinando quindi un’incontinenza fecale continua, incontrollabile e invalidante, a meno di non fare un’adeguata chirurgia con chirurghi esperti. Una possibilità limitata alle pochissime donne che per reddito possono aspirare a scegliere un’assistenza di qualità.
Il dolore delle donne non si limita al parto. In tutto il continente africano la violenza fisica e sessuale sulle donne resta una tragedia pervadente, il cui esito sono non solo gravidanze involontarie, con il loro prezzo di aborti e parti traumatici, ma anche l’altissima percentuale di donne affette da HIV, che già giovani sviluppano un AIDS conclamato, o colpite da infezioni da Papillomavirus, che causa spaventose condilomatosi massive genitali e lesioni precancerose, fino al cancro invasivo. Per non parlare delle atroci mutilazioni genitali femminili, ancora praticate in molta parte dell’Africa orientale. Vivere nella privilegiata Europa ci porta a dimenticare quello che è stata la condizione delle donne in Italia, e delle morti per aborto o per parto, fino a cinquant’anni fa. E a dimenticare quanta sofferenza fisica ed emotiva ci sia e ci sia stata, nei millenni, nella condizione femminile.
In positivo, nuove forze si muovono. Donne in gamba, che hanno avuto la possibilità di studiare all’estero, come la dottoressa Zuma, sono impegnate nel cambiare le cose: puntando sull’istruzione, l’unica vera via di emancipazione e di autonomia economica e decisionale della donna, e sulla contraccezione. “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, scriveva Antonio Gramsci. E non c’è dubbio che la cultura e l’accesso a professioni di qualità possa essere per le donne, anche in Africa, lo strumento più potente per cambiare le cose. Per non arrendersi a un destino di violenza, di abusi e di infelicità.
Noi, europei benestanti, noi donne, abbiamo una doppia responsabilità, che tendiamo a dimenticare. Da un lato la necessità di solidarietà, vera e non compiaciuta, perché un sempre maggior numero di donne possa andare a scuola e raggiungere una vera autonomia di vita grazie allo studio e al lavoro.
Dall’altro, il non buttare via la possibilità di una scolarizzazione e poi di una professione di qualità. Quello che per noi è scontato, poter studiare potenzialmente fino alla laurea, per altri milioni di donne è un privilegio. E allora ben venga l’osservare le cose con occhi nuovi, quando anche per lavoro si arrivi a contatto con realtà così diverse e drammatiche. Così traumatiche, perché molto più tragiche quando vissute in prima persona, invece che viste di lontano in un reportage televisivo o fotografico. O il percepire l’enorme privilegio di essere sani in un Paese ricco e consapevole, che tende tuttavia a dimenticare quanto grande e pervadente sia stato il dolore delle donne nei decenni e secoli passati, anche in Italia.
Tuttavia, dove c’è un privilegio c’è una responsabilità: l’obbligo morale di non arrendesi al peggio, nella vita pubblica come nella vita privata. Le cose cambiano, o almeno non precipiteranno, se ogni donna che abbia un cervello vivo e un cuore, s’impegnerà, nel piccolo come nel grande mondo, per cambiare le cose, credendoci. E se tutte le giovani donne occidentali, invece di aspirare a fare le veline o le escort, si impegneranno per cambiare davvero se stesse e il mondo. Cercando di mettere un contenuto di bellezza e di impegno civile nei loro gesti e nei loro pensieri, in armonia con quel principio di dignità personale che non può essere disatteso sotto nessun cielo.
Link correlati:Essere madre in Africa (Fondazione Alessandra Graziottin)
Aborto spontaneo Abuso, molestie, stalking, violenza sessuale e domestica Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) Istruzione, arte e cultura Morte e mortalità Parto vaginale / Parto cesareo