“La leggo spesso con interesse e ammirazione. Nel suo articolo su “Il ritorno della religione a Mosca”, pubblicato sul Gazzettino dello scorso 23 gennaio, invece, lei si abbandona a una risentita prosa emotivamente partigiana, sbagliando l’indirizzo delle accuse. La Chiesa ortodossa in Russia era il massimo contrafforte del regime zarista responsabile di un’ingiustificata e inutile guerra (1914-18). Nel 2000 la Chiesa ortodossa russa ha canonizzato lo zar Nicola II e la sua famiglia come “martiri”. (…) Considero le Chiese responsabili di collaborazionismo, e talora di complicità, con tutti quei governanti che provocarono le guerre tra interi popoli innocenti. (…) Ciò che lei chiama “spiritualità” dei popoli, sono emozioni infantili indotte per essere evocabili emotivamente ai fini dell’obbedienza, obiettivo per la quale le Chiese furono inventate e finanziate da chi vuole il potere. (…) Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
(M.R., medico)
Gentile Collega, è vero che le diverse Chiese Ortodosse hanno talvolta favorito le tensioni sociali; che, a volte, la Chiesa Cattolica si è compromessa con regimi autoritari espressi dalle classi dominanti; e che parte della Chiesa Evangelica tedesca appoggiò il nazionalsocialismo. Però è altrettanto vero che gli uomini più coerenti e coraggiosi di queste Chiese sono andati controcorrente anche rispetto agli orientamenti delle gerarchie, pagando di persona la loro critica radicale alla violenza. Di converso, l’opposizione dei rivoluzionari russi al massacro della Prima guerra mondiale non può farci dimenticare le stragi che a loro volta, raggiunto il potere, inflissero alla Chiesa Ortodossa, e a milioni di uomini e donne innocenti, nei lunghi anni della dittatura sovietica: prima del 1917, la comunità ortodossa russa contava circa 100.000 monaci e oltre 110.000 preti diocesani: di essi oltre 130.000 vennero fucilati tra il 1917 e il 1941; subirono la stessa sorte 250 vescovi, dei 300 esistenti nel 1917, mentre i pochi sopravvissuti furono inviati nei campi di concentramento (fonte: Russia Cristiana).
Concludere che “chi è causa del suo mal, pianga se stesso” non tiene conto della spaventosa sofferenza che le persone più semplici e indifese hanno patito, ortodossi o rivoluzionari che fossero. L’articolo, per niente risentito, né emotivamente partigiano, venato semmai di meditata amarezza, voleva trasmettere sia il dolore profondo, devastante, assoluto di quell’anziana donna nel veder distrutto, con le icone, il centro di fede e di consolazione del suo mondo, sia l’importanza di poter vedere – e mostrare ai più giovani – filmati storici, per trasmettere nel modo più diretto e vero possibile la complessità drammatica di molti eventi che hanno segnato il secolo scorso. Documenti straordinari per impatto comunicativo, densità emotiva e profondità simbolica: per me sono indimenticabili. Utili anche agli studenti, perché insegnano che, di fronte al dolore innocente, diventa difficile esprimere giudizi storici netti, al di là delle gravi complicità che spesso i sistemi religiosi hanno avuto, e hanno tuttora, con i poteri dominanti.
Dissento infine dalla sua ultima tesi, che la spiritualità dei popoli sia (solo) una sorta di imprinting infantile finalizzato all’asservimento. Da medico, sono molto interessata a studiare quanto la fede possa (anche) determinare modificazioni neurochimiche (aumento dell’attività nelle aree dopaminergica, serotoninergica e opiatergica, per esempio) che aumentano la capacità di affrontare le avversità dell’esistenza, psichiche e fisiche, come le malattie. Il dolore che ho visto negli occhi e nel comportamento di quell’anziana donna, di fronte alla devastazione della chiesa e al rogo delle icone, mi ha fatto guardare con molto più rispetto e attenzione alla profondità delle risonanze, biologiche oltre che psichiche, che la fede – e la sua distruzione – può evocare in ognuno. E’ questo sentimento di rispetto e di commozione, di fronte a un dolore devastante e irreparabile, che ho desiderato condividere: da laica che cerca di non avere pre-giudizi.
Cordialmente, Alessandra Graziottin
(M.R., medico)
Gentile Collega, è vero che le diverse Chiese Ortodosse hanno talvolta favorito le tensioni sociali; che, a volte, la Chiesa Cattolica si è compromessa con regimi autoritari espressi dalle classi dominanti; e che parte della Chiesa Evangelica tedesca appoggiò il nazionalsocialismo. Però è altrettanto vero che gli uomini più coerenti e coraggiosi di queste Chiese sono andati controcorrente anche rispetto agli orientamenti delle gerarchie, pagando di persona la loro critica radicale alla violenza. Di converso, l’opposizione dei rivoluzionari russi al massacro della Prima guerra mondiale non può farci dimenticare le stragi che a loro volta, raggiunto il potere, inflissero alla Chiesa Ortodossa, e a milioni di uomini e donne innocenti, nei lunghi anni della dittatura sovietica: prima del 1917, la comunità ortodossa russa contava circa 100.000 monaci e oltre 110.000 preti diocesani: di essi oltre 130.000 vennero fucilati tra il 1917 e il 1941; subirono la stessa sorte 250 vescovi, dei 300 esistenti nel 1917, mentre i pochi sopravvissuti furono inviati nei campi di concentramento (fonte: Russia Cristiana).
Concludere che “chi è causa del suo mal, pianga se stesso” non tiene conto della spaventosa sofferenza che le persone più semplici e indifese hanno patito, ortodossi o rivoluzionari che fossero. L’articolo, per niente risentito, né emotivamente partigiano, venato semmai di meditata amarezza, voleva trasmettere sia il dolore profondo, devastante, assoluto di quell’anziana donna nel veder distrutto, con le icone, il centro di fede e di consolazione del suo mondo, sia l’importanza di poter vedere – e mostrare ai più giovani – filmati storici, per trasmettere nel modo più diretto e vero possibile la complessità drammatica di molti eventi che hanno segnato il secolo scorso. Documenti straordinari per impatto comunicativo, densità emotiva e profondità simbolica: per me sono indimenticabili. Utili anche agli studenti, perché insegnano che, di fronte al dolore innocente, diventa difficile esprimere giudizi storici netti, al di là delle gravi complicità che spesso i sistemi religiosi hanno avuto, e hanno tuttora, con i poteri dominanti.
Dissento infine dalla sua ultima tesi, che la spiritualità dei popoli sia (solo) una sorta di imprinting infantile finalizzato all’asservimento. Da medico, sono molto interessata a studiare quanto la fede possa (anche) determinare modificazioni neurochimiche (aumento dell’attività nelle aree dopaminergica, serotoninergica e opiatergica, per esempio) che aumentano la capacità di affrontare le avversità dell’esistenza, psichiche e fisiche, come le malattie. Il dolore che ho visto negli occhi e nel comportamento di quell’anziana donna, di fronte alla devastazione della chiesa e al rogo delle icone, mi ha fatto guardare con molto più rispetto e attenzione alla profondità delle risonanze, biologiche oltre che psichiche, che la fede – e la sua distruzione – può evocare in ognuno. E’ questo sentimento di rispetto e di commozione, di fronte a un dolore devastante e irreparabile, che ho desiderato condividere: da laica che cerca di non avere pre-giudizi.
Cordialmente, Alessandra Graziottin
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