Lo esprime in un’intervista, profonda e luminosa, molto ben scritta da Maria Elena Viola, Direttrice di Donna Moderna, pubblicata questa settimana (sul numero del 27 gennaio). Molti italiani sentono e ammirano la verità di questo impegno, premiato da un eccellente indice di gradimento, nonostante le difficoltà obiettive di un periodo storico complesso, ad alta imprevedibilità, attraversato da laceranti inquietudini. Difficoltà amplificate dalla gestione di una maggioranza a tratti ostica a collaborare con una leader donna nonché dall’irto rapporto con un’opposizione che ha fatto purtroppo della denigrazione, di persone e programmi, il tratto distintivo. Meraki, dunque, uno stile che merita attenzione e dedizione quotidiana. Molti di noi lo praticano già nella sostanza, pur senza definirlo. Con una tendenza personale al miglioramento, perché è uno stile dinamico, che richiede costanza e coerenza nella pragmatica del fare e duttilità nell’adattarsi a un mondo complesso e fluido. Molti potrebbero vivere una vita più gratificante, se spostassero l’energia vitale sull’obiettivo di esprimere al meglio se stessi, con tutta la passione e tutta l’anima.
Gli orizzonti umani visibili non sono tuttavia incoraggianti. L’aumento dell’irritabilità e dell’aggressività fluide, in cerca di parafulmini umani e animali, oltre che di oggetti altrui su cui scaricarsi, fa riflettere su quanta energia vitale venga sprecata in gesti autodistruttivi, prima ancora che etero-distruttivi, quando non ci sia fin dall’infanzia un’educazione a questo aspetto essenziale dell’arte di vivere con senso e soddisfazione, sulla base di un costante e intenso impegno personale.
Quali riflessioni utili possiamo condividere per aumentare la “quota di meraki” che ognuno di noi riesce a esprimere nella propria vita? La prima ha radici antichissime: quel “Conosci te stesso”, di apollinea memoria, che richiede capacità di riflessione, di esame di coscienza quotidiano sul proprio comportamento, di ascolto intenso e aperto di osservazioni, suggerimenti e critiche che ci vengano da persone che stimiamo e di cui ci fidiamo. Ascolto “trasformativo”, il vero ascolto, quando al termine di una conversazione ci si sente diversi, perché ci siamo aperti a nuove visioni di noi stessi e del mondo.
Non si tratta tuttavia di un conoscersi astratto: il tratto distintivo e stimolante del meraki è il fare, un agire che mira a esprimere la propria verità in ogni compito, dai più semplici, il prendersi cura di sé e della propria casa, allo studiare, lavorare, progettare, seguire bene i figli per stimolarli a crescere al meglio. Giorgia Meloni si è preparata per trent’anni al compito di essere una donna politica competente, pragmatica e credibile. Continua a studiare e a prepararsi sul fronte politico. Con errori, anche (non li fa chi non fa nulla), mostrando tuttavia una capacità di correggerli rapida e puntuale, che dimostra onestà intellettuale e apertura costruttiva alle critiche. Nella complessità del ruolo, cerca di essere una mamma sufficientemente buona (come direbbe Donald Winnicott), e una compagna attenta e grata. “Chapeau” anche al compagno Andrea Giambruno, per lo stile meraki emerso in alcune interviste, acute e solidali.
Giorgia Meloni parla in modo fluente tre lingue (inglese, spagnolo e francese) senza accento (magnifico se anche il suo italiano alleggerisse il tratto romanesco, ma forse è amore per le radici). Anche questo richiede studio e dedizione di anni. Parlare bene una o più lingue straniere indica un’apertura vera e profonda al mondo. E’ un formidabile biglietto da visita professionale, e un fiore all’occhiello dello stile meraki, in un mondo globale. Quanti dei nostri ragazzi parlano almeno una lingua straniera in modo fluente? Quanti si dedicano con metodo e costanza quotidiani a coltivare i propri talenti, premessa per realizzare i propri sogni? E noi adulti, quanti stimoli e quante gratificazioni riusciamo a dare a collaboratori, allievi più giovani e figli perché il meraki, questo fare anche il proprio lavoro con passione e con anima, diventi prima una scelta e poi uno stile?
Ritornare, anche da laici, a fare un buon esame di coscienza, onesto e obiettivo, sulla qualità del nostro esistere e del nostro fare può essere prezioso per esistenze più significative. Dove l’essenza della propria verità più profonda, e della propria vocazione, traspaia dalla coerenza interna di piccoli e grandi gesti, grazie ai quali anche obiettivi alti hanno più concrete possibilità di essere raggiunti. Il fare con passione, e con anima.
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