E’ possibile ridurre l’aggressività omicida contro le donne? Il problema ha cause molteplici e non accetta soluzioni minimaliste. Sul fronte maschile, il primo fattore predisponente è una cultura della violenza, della sopraffazione fisica, del diritto della forza e dell’urlo su quello della ragione, della calma e del dialogo. Violenza ancora più esasperata dalla ridotta educazione al controllo degli istinti aggressivi. L’impulsività ingovernata diventa rapidamente distruttiva, in casi estremi fino all’omicidio.
Il primo impegno educativo è in famiglia: siccome bambini e adolescenti imparano per imitazione, la prima regola è vivere nel rispetto reciproco come fondamento cardinale di ogni convivenza, familiare e non. Si possono avere opinioni diverse, ma l’allenarsi ad esprimerle restando in controllo delle proprie emozioni, soprattutto negative, è un allenamento formidabile al saper vivere in tutti i contesti. E non è solo una prevenzione della violenza: è, soprattutto, un’educazione all’efficacia, imparando a canalizzare energie, argomentazioni e metodi. E’ una cultura del saper vincere a 360 gradi, mantenendo calma e lucidità. In questo senso, non è una riduzione o un impoverimento del principio maschile, ma semmai una sua esaltazione attraverso quei paradigmi educativi che sono la conoscenza di sé, la capacità di osservare, l’allenamento fisico e mentale per coltivare la propria energia finalizzandola restando in controllo, senza farsene travolgere. Esattamente l’opposto della violenza impulsiva, primitiva, irrazionale, che è autodistruttiva, oltre che distruttiva verso terzi.
Sul fronte femminile, l’educazione all’efficacia è ugualmente cardinale. Significa valorizzare una conoscenza di sé, dei propri talenti e dei propri limiti, che porti ogni giovane donna a sapersi proteggere, mentre cerca di esprimersi al meglio nella vita. I fattori femminili che rendono vulnerabili alla violenza sono moderni e antichi. I più recenti includono l’uso crescente di alcol e droghe: questo abbassa la soglia di autoprotezione ed espone a violenze complesse, fisiche, emotive e sessuali. Purtroppo le esperienze negative vissute nella prima giovinezza diventano una sorta di paradigma di quelli che saranno poi i comportamenti e le vulnerabilità future. I fattori più antichi includono una convinzione millenaria: l’«io ti salverò», illusione che porta troppe donne ad accettare relazioni con uomini violenti, pensando che amore e dedizione li cambieranno in meglio. In realtà, di fronte ad un temperamento violento è meglio lasciar perdere fin dalle prime scenate: salvarsi da una relazione aggressiva è la migliore autoprotezione. Un’amica fidata e autorevole può essere essenziale per aiutare la donna in bilico a chiudere una relazione pericolosa, perché violenta, anche se c’è passione fisica. Soprattutto se è intrecciata con due altre trappole micidiali: «Ti amo come nessun’altra» e «Senza te non vivo», che il violento dice spesso, tra un accesso di soprusi e l’altro. Frasi che devono suonare come un allarme rosso: via a gambe levate, invece di crogiolarsi in quest’illusione di eccellenza e unicità.
Per la famiglia, educare le figlie a un sano senso del proprio valore, all’autoprotezione, al coraggio, alla gestione degli impulsi e alla lucidità che non abdica se stessa ad alcol e stupefacenti è creare la base su cui la ragazza può costruire il proprio futuro affettivo, sessuale, professionale, familiare. Lo scenario sociale, mediatico e politico, tuttavia, rema contro questa dimensione. Resta una regola universale: l’esempio che diamo conta più dei discorsi. E se la violenza è reale? Denunciare! Eppure il 78% delle donne, in Italia, subisce e tace. Anche se nel 60% dei casi la denuncia è servita a bloccare violenze e persecuzioni ulteriori. Dobbiamo impegnarci perché quel 40% venga ridotto, o ancora troppe donne subiranno violenze per paura di ritorsioni. Fino a subire un’aggressione fatale. La vita di ogni donna è preziosa e unica. Non una di meno.
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