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"Soft skills": l'educazione dimenticata

29/10/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Una volta, in un’intera classe si notava il ragazzo maleducato. Oggi è il ragazzo beneducato che sorprende per rarità”, mi ha detto ieri un’insegnante. Lapidaria. Il livello di maleducazione, di indisciplina, di rozzezza comportamentale, di gesti e di linguaggio, fino alla brutalità, è così diffuso da essere diventato una triste normalità. E si distinguono, per rarità, i ragazzi e le ragazze che abbiano un’educazione degna del nome. Grazie alla quale sanno parlare in modo appropriato, con tono gentile, con rispetto, con garbo, con senso del ruolo e della gerarchia. E che hanno intelligenza emotiva: quella qualità, oggi ricercatissima, che indica la sensibilità e la capacità di sapersi sintonizzare sulle emozioni e i sentimenti degli altri, capendoli e rispettandoli. Che è poi il senso profondo di un’educazione di qualità.
Se i bambini e gli adolescenti d’oggi sono (quasi) tutti così (l’Italia ha il primato di maleducazione infantile in Europa), dov’è il problema? Il problema c’è, eccome. Ed è declinabile sotto vari aspetti che vanno dalla vita quotidiana, all’apprendimento, agli affetti, al futuro professionale di questi ragazzi e ragazze.
Nella vita quotidiana, la rozzezza del comportamento è espressione della superficialità, dell’inconsistenza e della rigidità del pensiero. Della incapacità di un’attenzione consistente e, conseguentemente, di crescenti difficoltà di memoria e di apprendimento. Nell’adolescenza, i ragazzi d’oggi vivono dominati dagli impulsi, soprattutto aggressivi, perché non sono mai stati educati a modulare le proprie emozioni. Essendo dominati dalle proprie, da un lato non sono capaci di sentire, cogliere e rispettare quelle degli altri. Dall’altro, hanno difficoltà ad apprendere perché continuamente disturbati nella concentrazione dall’assordante rumore interiore di emozioni ingovernate. Un limite fondamentale, sia nella vita affettiva personale e poi di coppia, sia professionale. L’impulsività aumenta sotto l’effetto degli ormoni sessuali puberali, e può da un lato esasperare la superficialità e l’umoralità dei comportamenti, dall’altro aumentare la carica distruttiva, verso di sé e verso gli altri: oggetti, animali o persone che siano. Un’aggressività che aumenta in una società che esaspera il senso di frustrazione in chi non sia “nato arrivato” e che fa del denaro facile la misura di tutte le cose.
Si potenziano così molti sentimenti negativi: uno scarso profitto scolastico, che abbassa l’autostima e renderà poco competitivi sul lavoro, e un’aggressività umorale che rende poco soddisfacenti tutti i rapporti interpersonali. Eccezion fatta per l’euforia da branco, in cui le emozioni negative si esaltano intorno a un leader distruttivo che può peraltro indurre a gesti che rovinano poi la vita intera.
All’opposto, proprio perché sempre più rari, a livello professionale sono ricercatissimi quei giovani, uomini e donne, dotati di “soft skills”, espressione non facilissima da tradurre nel senso profondo. Potremmo dire, letteralmente, “le abilità morbide”, oppure le abilità sottili. In altre parole, quelle caratteristiche impalpabili del comportamento e del linguaggio che rendono la persona capace di inserirsi con flessibilità, garbo, capacità di rispetto e intelligenza emotiva nell’ambito professionale. Caratteristiche sempre più rare, al punto da essere diventate un punto focale nella valutazione dei curriculum, del periodo di prova pre-assunzione e della carriera, nei lavori più diversi, all’estero come in Italia.
“Sono otto mesi che cerco un’estetista per il mio studio – dice la titolare di un ottimo centro estetico – e ho già valutato ventiquattro ragazze. Ci crede? Non ne ho potuta assumere nemmeno una perché mancavano di quel minimo di gentilezza ed educazione indispensabili in un lavoro come questo”. “Non si può avere a contatto con il pubblico un’impiegata che non alza nemmeno gli occhi dal tavolo per salutare!”. “Guardi, ho tre camerieri a servire nel mio ristorante. Uno riceve molte ma molte più mance degli altri, che sono invidiosi neri. Hanno poco da agitarsi, ieri gliel’ho detto chiaro. I clienti oggi non vogliono solo che il cibo sia buono, ma cercano la qualità del servizio: gentile, attento, sollecito, discreto e sorridente. E premiano chi glielo dà. Punto e finito”. “Mi sento miracolata: dopo tanto cercare ho assunto un’assistente di direzione come pensavo non esistesse più. Non solo ha un’ottima laurea, ma un’educazione d’altri tempi: il più straordinario antistress che si possa trovare in un collaboratore, dopo la competenza, è l’educazione! Nel mio ambiente in tre mesi la adorano tutti”, mi ha detto una famosa stilista. “Da quel medico ci torno sempre volentieri: oltre alla bravura, è di una gentilezza rara!”.
A qualsiasi livello, in ogni professione, a parità di competenza e professionalità, la gentilezza del tratto fa la differenza. Una ragione in più per ritornare ad educare i propri figli fin da piccolissimi al rispetto, al garbo, alla gentilezza. Vivranno meglio, con se stessi e con gli altri. In un mondo sempre più rozzo, e che tuttavia ha crescente nostalgia dell’educazione e della distinzione autentica, un figlio beneducato ha un passaporto di felicità e di successo in più.

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