A volte colgo la stessa traiettoria di vita in alcune giovani donne che incontro in studio per un controllo medico prima di ripartire per un progetto di studio o lavoro. Ragazze autonome, brave a scuola, educate e ben preparate. Un anno di liceo all’estero, italiano appropriato, inglese fluente, futuro professionale da capitane della propria vita. Capaci di ascolto intenso, a due direzioni, quando parli e vedi lo sguardo al contempo concentrato a seguire la conversazione, e l’intensa risonanza interiore che il dialogo sta evocando.
Lo rivedo in un recente incontro. La giovane donna, 23 anni, viene alla prima visita accompagnata dalla mamma, mia paziente storica, colta e simpatica, che me la presenta e ci lascia, tornando nella sala d’aspetto. Immediato il feeling di simpatia, per lo sguardo intenso, il sorriso aperto e gentile, la postura educata, la voce musicale. E’ evidente l’ottima educazione familiare che la ragazza ha alle spalle. L’anamnesi accurata mostra una ragazza sana, senza fattori di rischio. La visita medica è perfetta. Gli stili di vita pure. Fa attività fisica quotidiana, zero alcol, fumo o droghe: «Mai provate, non mi hanno mai interessata. Mi piace svegliarmi lucida e sentire che sono io a guidare la mia vita». Ride, ma sullo sguardo passa un’ombra. «Anche se non sempre sul percorso che avrei scelto». «Che lavoro fai?». «La modella. Ma non è un ambiente semplice. Devi essere solida, per non perderti». «Che studi hai fatto?». «Liceo classico, con un anno a Boston. All’università volevo fare Lettere antiche, la mia passione. I miei genitori non hanno voluto. Dicevano che era una laurea debole, che non aveva mercato professionale e mi hanno convinta a fare Giurisprudenza, che secondo loro è una laurea forte. Ma ho lasciato. Non è la mia strada». «Quanti esami ti mancano?». «Quattro». «Lingue conosciute?». «Inglese e francese bene». «Dove vivi?». «Ora a Parigi, e viaggio tanto».
Conversiamo con gusto sulla sua passione per l’etimologia delle parole, per la potenza di pensiero del latino e del greco, sul significato di “in-segnare”, lasciare il segno, ed “e-ducare”, far sbocciare i talenti, maieuticamente. Intuisco che la lunga conversazione sta riaprendo in modo inatteso molte stanze chiuse nei sotterranei dell’anima. «Quattro esami sono pochi. E Giurisprudenza è una laurea forte, soprattutto se la consegui all’estero». Il corpo della ragazza, prima appoggiata alla poltroncina, si tende in avanti, verso la scrivania. Un arco di concentrata attenzione, come se ogni cellula aspettasse di sentirmi dire qualche cosa di insperato. «Perché non chiudi questo cerchio? E’ una questione di stile. Ti laurei in legge, poi fai un master all’estero in Lettere antiche. E apri dieci porte. Che ne dici?».
Un lampo di luce accende gli occhi scuri e lucidi, per l’improvvisa intuizione che la strada creduta perduta era solo in attesa, in gestazione silenziosa. Che poteva rilanciare il sogno. Abbassa la testa. Intuisco triliardi di neuroni connettersi increduli, festosamente. Aspetto, in silenzio. «Lo farò. E’ la strada giusta per me». Uno sguardo determinato accompagna le parole.
La mamma ci raggiunge per un saluto. «Ragazza super sana», dico sorridendo. «Non ti puoi immaginare la visita, mamma! Ti dico solo che finisco di studiare Giurisprudenza, mi laureo e farò un master in Lettere antiche!». Rivolta a me, aggiunge intensa: «Lei oggi mi ha in-segnato. Grazie davvero».
Ho solo ascoltato e intuito. Il lavoro educativo dei genitori era già stato eccellente. Mancava un piccolo tocco esterno, che aiutasse a trasformare un’impasse in un nuovo slancio. Quante volte un adulto, insegnante, allenatore o medico che sia, può incoraggiare un giovane a perseguire il sogno di sé che temeva perduto?
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