Milano è città sporca oltre il tollerabile, con i suoi muri imbrattati di graffiti che raggiungono il picco di intensità nella zona universitaria (!). Ogni mattina, edifici appena ripuliti, con i loro colori lievi dopo decenni di grigiore da smog e più recenti lordure graffitare, sono rapidamente sfregiati di nuovo da ragazzi e ragazze che trovano nello sporcare l’unico modo per lasciare un segno di sé. Purtroppo desolante. Nessun muro si salva. Anzi, le pareti ripulite, come una pagina bianca, sembrano invitare ancora più fortemente all’oltraggio immediato. Il problema non è solo di Milano, ma qui ha raggiunto e superato il livello di guardia. Il caso pietoso di questa città merita di essere citato come paradigma desolante dell’incapacità degli adulti di affrontare in modo autorevole il problema degli adolescenti.
Ecco il fatto: l’ultima pensata del Comune, per rimediare allo sfregio, è di offrire un abbonamento di manutenzione quinquennale, a canone contenuto, con i primi 20 mesi di intervento gratuito. In pratica, per una superficie di 100 metri quadrati, il condominio non paga nulla per i primi 20 mesi (ma paghiamo tutti noi con le tasse, visto che i soldi al comune non arrivano dal cielo), mentre le restanti 40 mensilità costano ognuna 76,60 euro, per un totale di 3.064 euro per condominio. Sono oltre trentamila gli edifici che dovrebbero essere ripuliti per ridare alla città un volto decente, con una spesa pubblica facilmente immaginabile.
Qual è il punto? Mi sembra veramente assurdo che un Comune si impegni in un lavoro di Sisifo, di continua ripulitura, mentre mille altri ragazzi continuano a sporcare imperterriti, anzi con un certo gusto dell’oltraggio. E proponga poi ai cittadini di sobbarcarsi di fatto due volte una tassa in più per la ripulitura (la prima già pagata con le imposte, la seconda con questo dazio ulteriore).
Perché non abbiamo il coraggio una buona volta di dire che i graffiti non sono affatto arte? E quand’anche lo fossero, ognuno dipinga a casa propria e non sui muri degli altri. Perché non diciamo basta una volta per tutte, con sanzioni pecuniarie severe per le famiglie dei ragazzi, se minorenni, o per loro stessi, se abbiano già un lavoro, con l’obbligo di pagare loro le spese di ripulitura? Perché non mettiamo in atto un servizio di sorveglianza anche per questo aspetto? Perché non diciamo: “No, non si fa e non si deve fare”. Punto. Forse che l’estetica di una città non è un bene di tutti?
Ragioniamo in termini “democratici”, come a tutti piace dire. Quanti sono i graffitari? A esagerare, l’1 per cento della popolazione. E perché allora il restante 99% deve vivere costantemente in una città lercia e crescentemente oltraggiata? E lo stesso vale per i crescenti vandalismi: l’ultimo della serie, imbrattare con vernici i vetri frontali di tram e bus, così che la guida e quindi l’utilizzo sia impossibile. Perché dobbiamo accettare la logica perversa di intervenire a valle del danno, ripulendo, aggiustando, riparando in modo rassegnato tutti i danni che frange sbandate della popolazione impongono a tutti gli altri?
Certo, ci sono problemi più gravi dell’estetica, si dirà. D’accordo: ma il punto, qui, non è (solo) l’estetica, ma il coraggio di dare delle regole e farle rispettare. Perché non farlo? Come dicevo, almeno con sanzioni pecuniarie, visto che in Italia l’unica corda sensibile riguarda questo tipo di misura. Coinvolgendo anche i genitori: perché alla fine è in famiglia che si devono dare la prima educazione, i primi elementi anche della convivenza civile.
“Ma questo è il modo dei ragazzi di esprimere il loro disagio!”. Diciamola chiara: in quanti siamo stufi di vedere che tutto è lecito “per esprimere un disagio”? Ci siamo dimenticati che ogni generazione ha avuto i propri disagi, anche ben più drammatici degli attuali? Basti pensare, in un passato non lontano della nostra Italia, non dico alle guerre, ma alla fatica di sbarcare il lunario, alla fame, all’emigrazione massiccia resa necessaria dalla disperazione di non farcela, più, qui, a sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia. E allora basta con questo lassismo educativo. Basta con la rassegnazione al peggio. Basta con l’accettazione passiva di un degrado che, prima che estetico, è interiore e etico.
Perbenismo? No. Senso della bellezza. E senso del diritto che ognuno di noi cittadini ha di posare lo sguardo su un angolo curato e rasserenato della propria città. Senso del tempo e della misura. Chiaro, non può restare un passo a sé. Ma il primo di mille passi per recuperare l’importanza dell’autorevolezza nel rapporto tra adulti e giovani. Dell’importanza di regole e confini. Della necessità formativa di dire dei no chiari e motivati, e farli rispettare. Di ripartire dai fondamentali, in cui condotta e disciplina, a scuola, erano valori e non anacronistici retaggi del passato.
Con uno sguardo attento, certo, anche a disagi e solitudini, per dare loro una direzione costruttiva. Ma l’attenzione alla vulnerabilità dell’adolescente non può e non deve essere confusa con la latitanza educativa o con la legittimazione del “disagio” come pass-partout per oltraggi, vandalismi, bullismo e degrado.
Ecco il fatto: l’ultima pensata del Comune, per rimediare allo sfregio, è di offrire un abbonamento di manutenzione quinquennale, a canone contenuto, con i primi 20 mesi di intervento gratuito. In pratica, per una superficie di 100 metri quadrati, il condominio non paga nulla per i primi 20 mesi (ma paghiamo tutti noi con le tasse, visto che i soldi al comune non arrivano dal cielo), mentre le restanti 40 mensilità costano ognuna 76,60 euro, per un totale di 3.064 euro per condominio. Sono oltre trentamila gli edifici che dovrebbero essere ripuliti per ridare alla città un volto decente, con una spesa pubblica facilmente immaginabile.
Qual è il punto? Mi sembra veramente assurdo che un Comune si impegni in un lavoro di Sisifo, di continua ripulitura, mentre mille altri ragazzi continuano a sporcare imperterriti, anzi con un certo gusto dell’oltraggio. E proponga poi ai cittadini di sobbarcarsi di fatto due volte una tassa in più per la ripulitura (la prima già pagata con le imposte, la seconda con questo dazio ulteriore).
Perché non abbiamo il coraggio una buona volta di dire che i graffiti non sono affatto arte? E quand’anche lo fossero, ognuno dipinga a casa propria e non sui muri degli altri. Perché non diciamo basta una volta per tutte, con sanzioni pecuniarie severe per le famiglie dei ragazzi, se minorenni, o per loro stessi, se abbiano già un lavoro, con l’obbligo di pagare loro le spese di ripulitura? Perché non mettiamo in atto un servizio di sorveglianza anche per questo aspetto? Perché non diciamo: “No, non si fa e non si deve fare”. Punto. Forse che l’estetica di una città non è un bene di tutti?
Ragioniamo in termini “democratici”, come a tutti piace dire. Quanti sono i graffitari? A esagerare, l’1 per cento della popolazione. E perché allora il restante 99% deve vivere costantemente in una città lercia e crescentemente oltraggiata? E lo stesso vale per i crescenti vandalismi: l’ultimo della serie, imbrattare con vernici i vetri frontali di tram e bus, così che la guida e quindi l’utilizzo sia impossibile. Perché dobbiamo accettare la logica perversa di intervenire a valle del danno, ripulendo, aggiustando, riparando in modo rassegnato tutti i danni che frange sbandate della popolazione impongono a tutti gli altri?
Certo, ci sono problemi più gravi dell’estetica, si dirà. D’accordo: ma il punto, qui, non è (solo) l’estetica, ma il coraggio di dare delle regole e farle rispettare. Perché non farlo? Come dicevo, almeno con sanzioni pecuniarie, visto che in Italia l’unica corda sensibile riguarda questo tipo di misura. Coinvolgendo anche i genitori: perché alla fine è in famiglia che si devono dare la prima educazione, i primi elementi anche della convivenza civile.
“Ma questo è il modo dei ragazzi di esprimere il loro disagio!”. Diciamola chiara: in quanti siamo stufi di vedere che tutto è lecito “per esprimere un disagio”? Ci siamo dimenticati che ogni generazione ha avuto i propri disagi, anche ben più drammatici degli attuali? Basti pensare, in un passato non lontano della nostra Italia, non dico alle guerre, ma alla fatica di sbarcare il lunario, alla fame, all’emigrazione massiccia resa necessaria dalla disperazione di non farcela, più, qui, a sopravvivere e far sopravvivere la propria famiglia. E allora basta con questo lassismo educativo. Basta con la rassegnazione al peggio. Basta con l’accettazione passiva di un degrado che, prima che estetico, è interiore e etico.
Perbenismo? No. Senso della bellezza. E senso del diritto che ognuno di noi cittadini ha di posare lo sguardo su un angolo curato e rasserenato della propria città. Senso del tempo e della misura. Chiaro, non può restare un passo a sé. Ma il primo di mille passi per recuperare l’importanza dell’autorevolezza nel rapporto tra adulti e giovani. Dell’importanza di regole e confini. Della necessità formativa di dire dei no chiari e motivati, e farli rispettare. Di ripartire dai fondamentali, in cui condotta e disciplina, a scuola, erano valori e non anacronistici retaggi del passato.
Con uno sguardo attento, certo, anche a disagi e solitudini, per dare loro una direzione costruttiva. Ma l’attenzione alla vulnerabilità dell’adolescente non può e non deve essere confusa con la latitanza educativa o con la legittimazione del “disagio” come pass-partout per oltraggi, vandalismi, bullismo e degrado.