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Aggressività, impulsività, gelosia: il trio fatale della violenza maschile

11/07/2016

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

La violenza sulle donne continua con implacabile efferatezza. La costanza quotidiana delle morti per mano di un “ex” ha la cruda evidenza di un bollettino di guerra. Violenze sessuali, individuali o di gruppo, esasperano il quadro. Tre gli elementi maschili che dominano il quadro motivazionale, comportamentale e neurobiologico che sottende i comportamenti violenti contro le donne. Il primo è l’aggressività: è mediata dal testosterone, dieci volte più alto nel corpo degli uomini rispetto alle donne. Nell’etimo della parola, “ad-gradus”, camminare/andare verso, ci sono le due potenzialità, buona o cattiva, costruttiva o distruttiva, che caratterizzano i due volti di ogni comportamento umano. Nell’aggressività che va verso la vita, alla conquista di un luogo, di un obiettivo, di studio, di carriera, sportivo o di un amore, c’è il tratto luminoso dell’energia vitale prorompente, entusiasta, propositiva e, nelle persone migliori, collaborativa. Nel linguaggio comune, dell’aggressività è oggi percepita sempre più la parte distruttiva di “andare contro”, per assalire e distruggere.
Che cosa determina la differenza tra l’aggressività sana e quella patologica? Innanzitutto la finalità: costruttiva ed espressiva, di talenti, vocazioni, sogni, nella forma sana: «Vado verso quell’obiettivo per realizzare/ottenere qualcosa di positivo per me». La finalità è distruttiva, fino a progettare la morte dell’altro/a, nella forma patologica.
Il secondo elemento critico è la capacità di controllare l’impulsività. Tutti (o quasi), in qualche momento della vita, abbiamo pensato «Lo/la ucciderei»: ma non l’abbiamo messo in atto. L’elemento “controllo” è cardinale. Che cosa rende efficace il controllo? L’allenamento ai “no”, alla “frustrazione ottimale”, al rispetto delle regole e della disciplina. E’ un allenamento comportamentale, sotteso da un correlato neurobiologico: l’adeguata maturazione del lobo frontale, il grande regista e controllore di comportamenti socialmente adeguati. Oggi i ricercatori indicano un ritardo maturativo del lobo frontale di quasi dieci anni rispetto al passato, con punte di maturazione tardiva a 29 anni per i maschi e 25 per le femmine. Con soggetti patologici (“antisociali”) che non matureranno mai la capacità di autocontrollo. La deriva educativa contemporanea rischia di scrivere copioni comportamentali inquietanti. Il “piccolo tiranno” di 3 anni può diventare l’adolescente violento a 15 e l’adulto antisociale a 30. I “no” motivati educano a negoziare con gli altri, a mediare l’impulso aggressivo. Esistono delle regole, tempi e modi per appagare gli impulsi. Se una cosa non si può fare, non si fa. Punto. Anche lo sport, con le sue regole, i suoi tempi, le sue liturgie può servire a canalizzare questi impulsi, con un distinguo sottile ma vitale. La finalità educativa non è repressiva, con no immotivati, umorali, inspiegati e inspiegabili, che confondono e feriscono; ma costruttiva, per educare bambini e adolescenti a canalizzare l’energia, imparando a posticipare la soddisfazione di un bisogno o di un desiderio, a negoziare senza urli il dove e come realizzare qualcosa, a comprendere che la volontà e lo spazio personale si confrontano con quello di altri, imparando ad accettare “no” e rifiuti, a volte temporanei, a volte definitivi, senza farsene demolire. Purtroppo molti genitori confondono spontaneità con spontaneismo, naturalezza con impulsività, aggressività capricciosa con assertività. Un segnale importante? L’atteggiamento del bambino e dell’adolescente verso gli animali: tenerezza, giocosità, rispetto per l’animale sono fattori predittivi molto positivi. Indicano che il piccolo ha sensibilità, capacità di empatia, di sentire le emozioni – e il dolore – dell’altro. Di converso, aggressività, cattiveria, maltrattamento dell’animale sono un semaforo rosso, direi nero, anche sul futuro delle relazioni interpersonali. L’impulsività facilita poi due declinazioni pericolose dell’aggressività: fisica e sessuale, spesso intrecciate.
La gelosia, terza protagonista del disastro, accende allora la miccia fatale: quando la donna non è più una persona, ma un corpo da possedere, i cui sentimenti e il cui dolore sono irrilevanti. Una donna che addirittura non ha più diritto di vivere se osa dire di no: al rapporto, alla convivenza, alla sudditanza emozionale. L’assuefazione sociale a questi comportamenti fa il resto. La pragmatica dell’autoprotezione dovrebbe portare la donna a evitare come la peste l’uomo aggressivo/distruttivo, impulsivo, geloso: perché in un baleno può pensare una sentenza di morte ed eseguirla, con rabbia furiosa o senza nemmeno un battito di ciglia.
E se dice «Senza di te non vivo», attente! Non è una frase d’amore, ma una minaccia grave. Meglio scappare a gambe levate, prima che sia troppo tardi.

Abuso, molestie, stalking, violenza sessuale e domestica Aggressività e violenza Ambiente, natura e animali Autocontrollo Educazione Gelosia Omicidio / Femminicidio / Infanticidio

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