Che cosa determina la differenza tra l’aggressività sana e quella patologica? Innanzitutto la finalità: costruttiva ed espressiva, di talenti, vocazioni, sogni, nella forma sana: «Vado verso quell’obiettivo per realizzare/ottenere qualcosa di positivo per me». La finalità è distruttiva, fino a progettare la morte dell’altro/a, nella forma patologica.
Il secondo elemento critico è la capacità di controllare l’impulsività. Tutti (o quasi), in qualche momento della vita, abbiamo pensato «Lo/la ucciderei»: ma non l’abbiamo messo in atto. L’elemento “controllo” è cardinale. Che cosa rende efficace il controllo? L’allenamento ai “no”, alla “frustrazione ottimale”, al rispetto delle regole e della disciplina. E’ un allenamento comportamentale, sotteso da un correlato neurobiologico: l’adeguata maturazione del lobo frontale, il grande regista e controllore di comportamenti socialmente adeguati. Oggi i ricercatori indicano un ritardo maturativo del lobo frontale di quasi dieci anni rispetto al passato, con punte di maturazione tardiva a 29 anni per i maschi e 25 per le femmine. Con soggetti patologici (“antisociali”) che non matureranno mai la capacità di autocontrollo. La deriva educativa contemporanea rischia di scrivere copioni comportamentali inquietanti. Il “piccolo tiranno” di 3 anni può diventare l’adolescente violento a 15 e l’adulto antisociale a 30. I “no” motivati educano a negoziare con gli altri, a mediare l’impulso aggressivo. Esistono delle regole, tempi e modi per appagare gli impulsi. Se una cosa non si può fare, non si fa. Punto. Anche lo sport, con le sue regole, i suoi tempi, le sue liturgie può servire a canalizzare questi impulsi, con un distinguo sottile ma vitale. La finalità educativa non è repressiva, con no immotivati, umorali, inspiegati e inspiegabili, che confondono e feriscono; ma costruttiva, per educare bambini e adolescenti a canalizzare l’energia, imparando a posticipare la soddisfazione di un bisogno o di un desiderio, a negoziare senza urli il dove e come realizzare qualcosa, a comprendere che la volontà e lo spazio personale si confrontano con quello di altri, imparando ad accettare “no” e rifiuti, a volte temporanei, a volte definitivi, senza farsene demolire. Purtroppo molti genitori confondono spontaneità con spontaneismo, naturalezza con impulsività, aggressività capricciosa con assertività. Un segnale importante? L’atteggiamento del bambino e dell’adolescente verso gli animali: tenerezza, giocosità, rispetto per l’animale sono fattori predittivi molto positivi. Indicano che il piccolo ha sensibilità, capacità di empatia, di sentire le emozioni – e il dolore – dell’altro. Di converso, aggressività, cattiveria, maltrattamento dell’animale sono un semaforo rosso, direi nero, anche sul futuro delle relazioni interpersonali. L’impulsività facilita poi due declinazioni pericolose dell’aggressività: fisica e sessuale, spesso intrecciate.
La gelosia, terza protagonista del disastro, accende allora la miccia fatale: quando la donna non è più una persona, ma un corpo da possedere, i cui sentimenti e il cui dolore sono irrilevanti. Una donna che addirittura non ha più diritto di vivere se osa dire di no: al rapporto, alla convivenza, alla sudditanza emozionale. L’assuefazione sociale a questi comportamenti fa il resto. La pragmatica dell’autoprotezione dovrebbe portare la donna a evitare come la peste l’uomo aggressivo/distruttivo, impulsivo, geloso: perché in un baleno può pensare una sentenza di morte ed eseguirla, con rabbia furiosa o senza nemmeno un battito di ciglia.
E se dice «Senza di te non vivo», attente! Non è una frase d’amore, ma una minaccia grave. Meglio scappare a gambe levate, prima che sia troppo tardi.
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