«Cosa mi succederà di bello oggi?», si chiede l’adorabile Alice nel Paese delle Meraviglie: una frase che mi aveva colpito da piccola e che penso ogni mattino, al risveglio. Una sintonizzazione sul lato positivo della vita. Mi alzo molto presto per fare il mio sport preferito prima di andare al lavoro: anche se diluvia o fa un freddo tremendo, scendo le scale allegra, canticchiando, perché anticipo qualcosa che mi dà gioia, invece di lamentarmi dell’orrido tempo. Contenta perché, ragionevolmente sana, posso assaporare il movimento fisico con più gusto, dopo qualche serio sinistro di salute. “Think pink”, pensa in rosa, dice uno slogan. Ma va benissimo pensare anche in rosso passione, in verde speranza o verde prato, in giallo sole, in azzurro mare, in bianco neve.
Al liceo i miei amici dicevano: «La Ale non è una che vede il bicchiere mezzo pieno quando è mezzo vuoto. Lo vede pieno anche se non c’è dentro niente… lei sogna!». Perché no? In tempi duri, il cercare il lato positivo della vita diventa un esercizio necessario. Prezioso per il presente e per coltivare una buona energia verso il futuro. Meglio se con qualche sogno, piccolo o grande, da realizzare. Si inizia dalle piccole cose, a portata di tutti: un raggio di sole, ancor più gradito d’inverno. I giochi e le tenerezze di un gatto o di un cane amato. Un figlio o un nipotino cui chiedere con un sorriso: «Tesoro, che cosa hai fatto di bello oggi?», ascoltandolo con affettuosa attenzione mentre racconta. Un buon sonno. Una bella doccia calda. Una dolce colazione. Un “buongiorno!” gentile e ricambiato. Un «Tu come stai?» chiesto con tenera sollecitudine. Una telefonata che regala un sorriso. Un apprezzamento inatteso, regalato o ricevuto. Molti lo fanno già, per carattere o educazione: una fortuna per sé e per chi li circonda.
Un aspetto tuttavia mi ha fatto molto riflettere nell’ultimo anno: la tendenza a raccontare di sé, o del mondo, solo il negativo. «Così mi sfogo!», è la motivazione principale. La neurobiologia ci svela tuttavia che questo riparlare del negativo dell’esistenza non è affatto sano. Anzi. In realtà, quando parliamo di cose che ci turbano, ci feriscono, ci deprimono, attiviamo sul negativo sia il cervello, sia il corpo. Nell’ordine, il sistema neurovegetativo: aumentano gli ormoni dello stress, adrenalina e cortisolo, tanto più se siamo direttamente colpiti da quello che raccontiamo. Aumentano la pressione sanguigna e la tensione muscolare, si contrae lo stomaco: tutto in noi partecipa al racconto rivivendo esattamente la situazione negativa precedente. In parallelo, si attiva il sistema emotivo affettivo: ri-aumentano i sentimenti di collera, di rabbia, di umiliazione. Si attiva il motorio: e tutto il corpo si prepara all’aggressione (simbolica se non reale). Si attiva il cognitivo e la mente si avvita nella voglia di vendetta, nella ricerca della parola sferzante, della cattiveria di ritorno, della ritorsione… Perché avvelenarsi da soli così?
La prima mossa intelligente è eliminare sul nascere i ricordi e le emozioni negative. Scegliere di stare sul positivo diventa una strategia vincente per comunicare e vivere meglio. Perché accende le aree cerebrali che scrivono la ricompensa, ossia ciò che ci rende felici; aumenta le endorfine, che sono le nostre molecole della gioia; attiva ricordi ed emozioni gratificanti. Irradia positività e luce, invece che nero e ombra. Ci aiuta a vivere più sani, sia dal punto di vista fisico (molti studi dimostrano che i depressi si ammalano di più e muoiono prima) sia affettivo: perché gli altri, piccoli e adulti d’ogni età, stanno molto meglio con noi.
L’obiettivo per il 2014? Del problematico, allenarmi a cogliere il lato stimolante, per cambiare in meglio; della vita saper vedere, e incoraggiare a cogliere e raccontare, i frammenti di luce, anche nei giorni di pioggia. Un progetto di lavoro su di sé, ma anche una ricerca di stile nei rapporti umani, che mi fa piacere condividere con gli amici, lettrici e lettori.
Al liceo i miei amici dicevano: «La Ale non è una che vede il bicchiere mezzo pieno quando è mezzo vuoto. Lo vede pieno anche se non c’è dentro niente… lei sogna!». Perché no? In tempi duri, il cercare il lato positivo della vita diventa un esercizio necessario. Prezioso per il presente e per coltivare una buona energia verso il futuro. Meglio se con qualche sogno, piccolo o grande, da realizzare. Si inizia dalle piccole cose, a portata di tutti: un raggio di sole, ancor più gradito d’inverno. I giochi e le tenerezze di un gatto o di un cane amato. Un figlio o un nipotino cui chiedere con un sorriso: «Tesoro, che cosa hai fatto di bello oggi?», ascoltandolo con affettuosa attenzione mentre racconta. Un buon sonno. Una bella doccia calda. Una dolce colazione. Un “buongiorno!” gentile e ricambiato. Un «Tu come stai?» chiesto con tenera sollecitudine. Una telefonata che regala un sorriso. Un apprezzamento inatteso, regalato o ricevuto. Molti lo fanno già, per carattere o educazione: una fortuna per sé e per chi li circonda.
Un aspetto tuttavia mi ha fatto molto riflettere nell’ultimo anno: la tendenza a raccontare di sé, o del mondo, solo il negativo. «Così mi sfogo!», è la motivazione principale. La neurobiologia ci svela tuttavia che questo riparlare del negativo dell’esistenza non è affatto sano. Anzi. In realtà, quando parliamo di cose che ci turbano, ci feriscono, ci deprimono, attiviamo sul negativo sia il cervello, sia il corpo. Nell’ordine, il sistema neurovegetativo: aumentano gli ormoni dello stress, adrenalina e cortisolo, tanto più se siamo direttamente colpiti da quello che raccontiamo. Aumentano la pressione sanguigna e la tensione muscolare, si contrae lo stomaco: tutto in noi partecipa al racconto rivivendo esattamente la situazione negativa precedente. In parallelo, si attiva il sistema emotivo affettivo: ri-aumentano i sentimenti di collera, di rabbia, di umiliazione. Si attiva il motorio: e tutto il corpo si prepara all’aggressione (simbolica se non reale). Si attiva il cognitivo e la mente si avvita nella voglia di vendetta, nella ricerca della parola sferzante, della cattiveria di ritorno, della ritorsione… Perché avvelenarsi da soli così?
La prima mossa intelligente è eliminare sul nascere i ricordi e le emozioni negative. Scegliere di stare sul positivo diventa una strategia vincente per comunicare e vivere meglio. Perché accende le aree cerebrali che scrivono la ricompensa, ossia ciò che ci rende felici; aumenta le endorfine, che sono le nostre molecole della gioia; attiva ricordi ed emozioni gratificanti. Irradia positività e luce, invece che nero e ombra. Ci aiuta a vivere più sani, sia dal punto di vista fisico (molti studi dimostrano che i depressi si ammalano di più e muoiono prima) sia affettivo: perché gli altri, piccoli e adulti d’ogni età, stanno molto meglio con noi.
L’obiettivo per il 2014? Del problematico, allenarmi a cogliere il lato stimolante, per cambiare in meglio; della vita saper vedere, e incoraggiare a cogliere e raccontare, i frammenti di luce, anche nei giorni di pioggia. Un progetto di lavoro su di sé, ma anche una ricerca di stile nei rapporti umani, che mi fa piacere condividere con gli amici, lettrici e lettori.
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