«Cosa farei se non avessi paura?»: è questo il motto vincente di Sheryl Sandberg, Chief Executive Officer di Facebook, donna di 44 anni dal curriculum impressionante, anche per la velocità e l’efficacia della sua crescita professionale. Bella, femminile, dal gran carisma, con un’intuizione formidabile per gli affari che la fa ammirare (e detestare, come succede ai vincenti invidiatissimi) non solo negli Stati Uniti. Non ultimo, felicemente sposata con due bimbi di cinque e sette anni. “Lean in” (“Dacci dentro”: lavora duro a ciò che ti appassiona e non mollare) è il suo ultimo libro sulle sue strategie di vita.
Il cuore pulsante del suo sguardo sull’esistenza è l’uso propulsivo e rivoluzionario della paura. Primo passo: analizzare le proprie paure e le loro origini. Ci sono vite bruciate perché dominate dalla paura. Paura di cambiare, di mettersi alla prova. Paura di essere se stessi fino in fondo, anche se questo significa deludere qualcuno che amiamo o dice di amarci. Paura di essere giudicati, o di mettersi fuori dal coro. Uso strategico della paura non significa sopprimerla, né metterla da parte, e neppure negarne l’esistenza come se fosse un vizio assurdo. No. Questo porterebbe all’impulsività e alla temerarietà, del pari pericolose e in diverso modo altrettanto potenzialmente autodistruttive. Significa invece ascoltarla, scomporla nelle sue diverse componenti. Comprendere quanto derivi da pregiudizi, da sentimenti di inadeguatezza, da timore del nuovo, ma anche da incompetenze obiettive che vanno migliorate, con lavoro, studio e disciplina. E quanto invece indichi insidie da capire ed evitare: persone negative, che potrebbero farci del male o distruggere il nostro progetto di crescita, situazioni perdenti più forti dei nostri desideri e delle nostre risorse, contesti inadeguati che potrebbero affondare ogni energia in un palude di ostracismi.
Uso strategico della paura significa prendersi il giusto tempo per analizzare, riflettere, ascoltare. Per mettersi in discussione senza aggrapparsi alle opinioni o alle scelte di ieri. Avere il coraggio di ammettere di aver sbagliato, serenamente, costruttivamente. Solo chi è molto solido interiormente può permettersi questa capacità di autocritica. Ma è anche vero che sono proprio questa elasticità interiore, questa capacità di guardare alle cose senza pretendere di avere sempre la percezione, l’intuizione o la strategia giusta, a rendere solidi. Significa saper ascoltare i collaboratori, con mente apertissima, curiosa e attenta al cuore delle proposte. Senza la paura che abbiano un’idea migliore della nostra: anzi, se c’è, avere il coraggio di valorizzarla fino in fondo. Questa è forza interiore che crea squadre compatte e vincenti. Che dà ai collaboratori l’orgoglio di essere ascoltati, apprezzati e valorizzati. Il tutto all’interno di una disciplina di vita fortissima: non si fa carriera per caso, men che meno in contesti meritocratici come i Paesi anglosassoni.
Per un giovane, oggi, credere nel proprio futuro significa studiare tanto, fin dalle elementari. Imparare perfettamente l’inglese (senza dimenticare l’italiano) e, meglio ancora, una terza lingua. Andare all’estero, ottimo se per un anno durante il liceo: non avere paura di cambiare paese, cultura, di lasciare la famiglia, di incontrare il mondo. Tanto meglio se si può fare l’università o un master di perfezionamento all’estero. Lavorare in Paesi diversi, anche solo d’estate, durante l’università, e intanto migliorare la lingua allenando l’intelligenza emotiva: quella capacità di essere empatici, di mettersi nei panni degli altri, di essere educati nel senso profondo del termine.
Far crescere l’intelligenza emotiva al pari di quella cognitiva: questa è l’anima sana del non avere paura. Pian piano si allena il coraggio di vivere appieno, interiormente liberi e solidi, con meno pregiudizi. Con meno energia perdute ad arroccarsi e a denigrare, e più energie investite per esplorare il mondo e conquistarlo, ciascuno a misura dei propri talenti e dei propri sogni.
Il cuore pulsante del suo sguardo sull’esistenza è l’uso propulsivo e rivoluzionario della paura. Primo passo: analizzare le proprie paure e le loro origini. Ci sono vite bruciate perché dominate dalla paura. Paura di cambiare, di mettersi alla prova. Paura di essere se stessi fino in fondo, anche se questo significa deludere qualcuno che amiamo o dice di amarci. Paura di essere giudicati, o di mettersi fuori dal coro. Uso strategico della paura non significa sopprimerla, né metterla da parte, e neppure negarne l’esistenza come se fosse un vizio assurdo. No. Questo porterebbe all’impulsività e alla temerarietà, del pari pericolose e in diverso modo altrettanto potenzialmente autodistruttive. Significa invece ascoltarla, scomporla nelle sue diverse componenti. Comprendere quanto derivi da pregiudizi, da sentimenti di inadeguatezza, da timore del nuovo, ma anche da incompetenze obiettive che vanno migliorate, con lavoro, studio e disciplina. E quanto invece indichi insidie da capire ed evitare: persone negative, che potrebbero farci del male o distruggere il nostro progetto di crescita, situazioni perdenti più forti dei nostri desideri e delle nostre risorse, contesti inadeguati che potrebbero affondare ogni energia in un palude di ostracismi.
Uso strategico della paura significa prendersi il giusto tempo per analizzare, riflettere, ascoltare. Per mettersi in discussione senza aggrapparsi alle opinioni o alle scelte di ieri. Avere il coraggio di ammettere di aver sbagliato, serenamente, costruttivamente. Solo chi è molto solido interiormente può permettersi questa capacità di autocritica. Ma è anche vero che sono proprio questa elasticità interiore, questa capacità di guardare alle cose senza pretendere di avere sempre la percezione, l’intuizione o la strategia giusta, a rendere solidi. Significa saper ascoltare i collaboratori, con mente apertissima, curiosa e attenta al cuore delle proposte. Senza la paura che abbiano un’idea migliore della nostra: anzi, se c’è, avere il coraggio di valorizzarla fino in fondo. Questa è forza interiore che crea squadre compatte e vincenti. Che dà ai collaboratori l’orgoglio di essere ascoltati, apprezzati e valorizzati. Il tutto all’interno di una disciplina di vita fortissima: non si fa carriera per caso, men che meno in contesti meritocratici come i Paesi anglosassoni.
Per un giovane, oggi, credere nel proprio futuro significa studiare tanto, fin dalle elementari. Imparare perfettamente l’inglese (senza dimenticare l’italiano) e, meglio ancora, una terza lingua. Andare all’estero, ottimo se per un anno durante il liceo: non avere paura di cambiare paese, cultura, di lasciare la famiglia, di incontrare il mondo. Tanto meglio se si può fare l’università o un master di perfezionamento all’estero. Lavorare in Paesi diversi, anche solo d’estate, durante l’università, e intanto migliorare la lingua allenando l’intelligenza emotiva: quella capacità di essere empatici, di mettersi nei panni degli altri, di essere educati nel senso profondo del termine.
Far crescere l’intelligenza emotiva al pari di quella cognitiva: questa è l’anima sana del non avere paura. Pian piano si allena il coraggio di vivere appieno, interiormente liberi e solidi, con meno pregiudizi. Con meno energia perdute ad arroccarsi e a denigrare, e più energie investite per esplorare il mondo e conquistarlo, ciascuno a misura dei propri talenti e dei propri sogni.