Che cosa potrebbe dirci Einstein, su questo monito? Probabilmente raccomanderebbe anche a noi di metterlo fra gli auto-ammonimenti quotidiani. L’invisibile ci può sorprendere. Ci può mettere in ginocchio. Oppure farci sognare. Quante cose che contano non possono essere contate? Tutta la gamma dei sentimenti, per esempio: la tenerezza, la dolcezza, l’amore. Il sentimento di appartenenza, il senso di attaccamento. La bontà, sempre più rara. Le dimensioni della bellezza, che sono squisitamente soggettive, e non quantizzabili. La magia del silenzio, senza rumori di fondo. Il raggio di luce che accende i ciclamini rossi alla finestra, mentre il sole scende prima del tramonto. E l’improvviso scintillio che l’ultimo raggio regala, accendendo di un bagliore inatteso i decori di Natale, allegri sull’ulivo. Contano, incommensurabili, alcuni sguardi speciali, intensissimi, pieni di luce e di affetto, che mi regalano alcune pazienti. Non solo quando le cure vanno bene. Ma quando scatta qualcosa di speciale: una vibrazione d’anima, fatta di fiducia, di nuova energia, e di serenità ritrovata. Un altro dei mille volti dell’amore. Sguardi che ritroviamo negli occhi di un animale amato. O di un bambino felice di sentirsi abbracciato con limpido amore. Quanta gioia può dare il profumo dei tigli? O dei mughetti, felicità che ritorna? O il profumo di casa, quando ritorniamo dopo tanto tempo dai genitori o dai nonni. E quel profumo ci avvolge con un’ondata di ricordi, belli e struggenti. Conta una musica amata, che accompagna la lettura acquietata della sera, prima di dormire. Conta la conversazione acuta, che ti sorprende e ti fa pensare. Conta, incommensurabile, la salute ritrovata, che temevano perduta. Conta l’emozione disperata di chi in un terremoto, o in un incendio, o in guerra, ha perso tutto. E ti fa sentire in un secondo il tanto che hai, e dai per scontato o dovuto. Senza apprezzarlo ogni giorno. Senza aspettare che solo il perderlo per sempre te ne dia amara e tardiva contezza.
Contare ci tranquillizza. Karl Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli. Oggi sono i numeri l’oppio dei popoli. Dei loro politici. E spesso degli scienziati. Le affermazioni sembrano avere valore solo se sono sostenute da numeri: l’«evidenza». Nuovo dio. Con l’intrinseco paradosso che i numeri vengono spesso usati senza nemmeno cognizione del loro potenziale significato. Il che ne demolisce ogni residuo valore.
Qual è la potenza esistenziale della frase di Einstein? Mi sembra si collochi perfettamente all’interno del suo principio della relatività, declinabile in molti ambiti. Grande monito a non fare affermazioni monolitiche, a non arroccarsi su certezze opinabili e su opinioni arrugginite. Ad ascoltare la complessità, e la sua ineffabilità, senza volerla restringere in minuscole certezze, solo perché abbiamo bisogno di sentirci garantiti da un qualche principio, in un mondo che è oggi il paradigma dell’incertezza e dell’impredicibilità. E’ un invito ad accettare la sfida dell’indeterminazione (rileggiamo qualche pensiero di Werner Heisenberg, altro fisico stratosferico), cercando un percorso di vita, in continuo divenire, che cerchi di muoversi con equilibrio dinamico, tra certezze contabili e non contabili. Tra dimensioni quantizzabili e non quantizzabili. Con coraggio e prudenza, entrambe essenziali per non rischiare da un lato una suicidaria temerarietà, dall’altro una altrettanto mortifera palude.
Una interessante dimensione dell’esistere sarebbe il coltivare ciò che non possiamo contare. In primis, un’interiorità più profonda, capace di maggiori risonanze con gli altri, capace di ascolto profondo e trasformativo, capace di abitare con serenità anche la solitudine. Capace di interrogarsi. E di avere dei dubbi. Capace di ridere e sorridere.
Per finire leggeri, ancora un pensiero del grande Einstein: «Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana. Sull’universo ho ancora dei dubbi…».
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