Buongiorno Dottor Zaia, ottima l’idea di valorizzare ancor più l’identità e la magnifica tradizione veneta. Imperativo perseguire il federalismo fiscale, obiettivo che premierebbe la laboriosità e la maggiore onestà contributiva dei Veneti. Giustissimo! Mi ha lasciato invece perplessa la scelta della nostra Regione, che Lei governa, di portare la lingua veneta a lingua ufficiale, da insegnare a scuola.
Parlo da appassionata cittadina veneta. Sono bilingue: parlo fin dall’infanzia la lingua veneta, così dolce, concreta, musicale e divertente, e l’italiana, così ricca di colori, sfumature e profondità semantiche. Sono nata sorridendo nella Marca gioiosa, ben felice di essere approdata in questa terra luminosa. In provincia di Treviso, perla di terraferma della Serenissima Repubblica, ho la residenza. Sono orgogliosissima di essere veneta e seguo con molto cuore le vicende della mia terra natale. E dal cuore mi nasce questa riflessione sul bilinguismo.
A scuola ho imparato il francese. Con gli amici e in famiglia si parlava in veneto o in italiano. Ma quando iniziai medicina, mio padre mi disse: «Se vuoi essere cittadina del mondo, impara l’inglese!». Così cominciai, e fu la mia fortuna. Ecco il punto: benissimo mantenere viva la conoscenza della lingua veneta, che molti di noi continuano ad apprendere in famiglia e che con gusto continuiamo a usare nella vita quotidiana. Giusto valorizzare l’identità e la cultura venete. Ma a scuola lasciamo il veneto facoltativo. Benissimo invece pensare, sempre a scuola, a un bilinguismo aperto sul mondo: italiano e inglese, fin dalle materne, da continuare fino all’università per tutte le scuole di ogni ordine e grado. Se poi un ragazzo/a vuole studiare bene anche il veneto, lo spagnolo o il cinese, l’arabo o il russo, ben venga. Ma intanto garantiamo a tutti i bambini e gli adolescenti questo bilinguismo formidabile, indipendentemente dal reddito e dalla cultura dei genitori.
Questa sarebbe una scelta davvero d’avanguardia, per proiettare il Veneto, nei fatti, in una dimensione internazionale fatta non solo di industrie brillanti che delocalizzano all’est, ma di giovani con un futuro molto più competitivo e saldo nelle loro mani. I bimbi benestanti sono già bilingue, e di lingue che contano. La sfida è dare l’opportunità del bilinguismo a tutti, e in particolare proprio a quei bambini del livello sociale medio basso che altrimenti al bilinguismo competitivo non arriverebbero (quasi) mai. «Ma allora con il veneto facoltativo le lingue diventano tre!». Dov’è il problema? Meglio! Imparare le lingue è uno straordinario allenamento per il cervello, tanto più quando si inizia da piccoli: ne sono esempio vivente molti bambini ebrei, dall’identità solidissima, che parlano bene cinque lingue non correlate (ebraico, arabo, inglese, spagnolo e russo, giusto per citare il repertorio dei figli di alcuni amici e conoscenti). Dunque bilinguismo sì, per fare del Veneto una rampa di lancio di giovani talenti verso il mondo. Ma anche per dare a ogni turista la sensazione di sentirsi a casa («To feel home from home»): che si faccia il tassista, l’albergatrice, il parrucchiere o la commerciante, per non parlare dei cartelli stradali e dei monumenti, visto che il turismo è una nostra risorsa straordinaria.
Spendiamo i soldi pubblici per investire sul futuro di questa splendida terra. La Serenissima Repubblica era aperta sul mondo. Continuiamo in questa luminosa tradizione, invece di arroccarci su muri linguistici. L’identità veneta sarà tanto più forte quanto più avremo nel cuore la certezza di essere nati in una terra benedetta che ci ha dato le ali, anche del bilinguismo che conta, per volare lontano, alti, sicuri e competitivi, oltre i confini. Lo vivo ogni giorno. E ringrazio mio padre. Che bello sarebbe se i bambini di oggi potessero ringraziare questa Regione, domani: in veneto, in italiano e in inglese.
Parlo da appassionata cittadina veneta. Sono bilingue: parlo fin dall’infanzia la lingua veneta, così dolce, concreta, musicale e divertente, e l’italiana, così ricca di colori, sfumature e profondità semantiche. Sono nata sorridendo nella Marca gioiosa, ben felice di essere approdata in questa terra luminosa. In provincia di Treviso, perla di terraferma della Serenissima Repubblica, ho la residenza. Sono orgogliosissima di essere veneta e seguo con molto cuore le vicende della mia terra natale. E dal cuore mi nasce questa riflessione sul bilinguismo.
A scuola ho imparato il francese. Con gli amici e in famiglia si parlava in veneto o in italiano. Ma quando iniziai medicina, mio padre mi disse: «Se vuoi essere cittadina del mondo, impara l’inglese!». Così cominciai, e fu la mia fortuna. Ecco il punto: benissimo mantenere viva la conoscenza della lingua veneta, che molti di noi continuano ad apprendere in famiglia e che con gusto continuiamo a usare nella vita quotidiana. Giusto valorizzare l’identità e la cultura venete. Ma a scuola lasciamo il veneto facoltativo. Benissimo invece pensare, sempre a scuola, a un bilinguismo aperto sul mondo: italiano e inglese, fin dalle materne, da continuare fino all’università per tutte le scuole di ogni ordine e grado. Se poi un ragazzo/a vuole studiare bene anche il veneto, lo spagnolo o il cinese, l’arabo o il russo, ben venga. Ma intanto garantiamo a tutti i bambini e gli adolescenti questo bilinguismo formidabile, indipendentemente dal reddito e dalla cultura dei genitori.
Questa sarebbe una scelta davvero d’avanguardia, per proiettare il Veneto, nei fatti, in una dimensione internazionale fatta non solo di industrie brillanti che delocalizzano all’est, ma di giovani con un futuro molto più competitivo e saldo nelle loro mani. I bimbi benestanti sono già bilingue, e di lingue che contano. La sfida è dare l’opportunità del bilinguismo a tutti, e in particolare proprio a quei bambini del livello sociale medio basso che altrimenti al bilinguismo competitivo non arriverebbero (quasi) mai. «Ma allora con il veneto facoltativo le lingue diventano tre!». Dov’è il problema? Meglio! Imparare le lingue è uno straordinario allenamento per il cervello, tanto più quando si inizia da piccoli: ne sono esempio vivente molti bambini ebrei, dall’identità solidissima, che parlano bene cinque lingue non correlate (ebraico, arabo, inglese, spagnolo e russo, giusto per citare il repertorio dei figli di alcuni amici e conoscenti). Dunque bilinguismo sì, per fare del Veneto una rampa di lancio di giovani talenti verso il mondo. Ma anche per dare a ogni turista la sensazione di sentirsi a casa («To feel home from home»): che si faccia il tassista, l’albergatrice, il parrucchiere o la commerciante, per non parlare dei cartelli stradali e dei monumenti, visto che il turismo è una nostra risorsa straordinaria.
Spendiamo i soldi pubblici per investire sul futuro di questa splendida terra. La Serenissima Repubblica era aperta sul mondo. Continuiamo in questa luminosa tradizione, invece di arroccarci su muri linguistici. L’identità veneta sarà tanto più forte quanto più avremo nel cuore la certezza di essere nati in una terra benedetta che ci ha dato le ali, anche del bilinguismo che conta, per volare lontano, alti, sicuri e competitivi, oltre i confini. Lo vivo ogni giorno. E ringrazio mio padre. Che bello sarebbe se i bambini di oggi potessero ringraziare questa Regione, domani: in veneto, in italiano e in inglese.