La Cannabis sativa contiene oltre cento fito-cannabinoidi, esclusivi di questa pianta, e centinaia di altri componenti attivi, inclusi terpeni e flavonoidi. Il primo fattore che ne condiziona effetti e potenziale tossicità è la grande varietà di composizione e di concentrazione dei diversi principi attivi, a seconda dei composti in uso. Il fito-cannabinoide più studiato è il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC), che ne media i più potenti effetti psicoattivi. Considerate questi dati: la cannabis terapeutica ha una bassa concentrazione di THC, inferiore allo 0,3%; in commercio ci sono ora prodotti con concentrazioni di THC aumentate dal 2-3% a oltre il 20%, oltre a una cannabis inalabile molto potente, con concentrazioni di THC variabili dal 65 al 90%, e cannabinoidi sintetici cento volte più potenti della cannabis naturale. «Mi faccio una canna» significa che uso un estratto di cannabis: ma composizione e caratteristiche possono essere così diverse da causare effetti, anche tossici, cento e più volte superiori a quella presente nella cannabis terapeutica.
Molti fito-cannabinoidi interagiscono infatti con il nostro sistema endocannabinoide, presente in tutto il corpo. Questo sistema ha due tipi di recettori, le chiavi con cui il THC e i suoi fratelli interagiscono con i nostri tessuti e la nostra salute. I recettori cannabinoidi di tipo 1 (CB1) sono presenti in tutto il corpo, e in particolare nel sistema cardiovascolare, nel cuore e nel cervello, mentre i recettori di tipo 2 (CB2) sono più concentrati nelle cellule del sistema immunitario. Proprio i recettori di tipo 1 sono responsabili sia degli aspetti benefici, tra cui l’effetto analgesico, antinausea e stimolante dell’appetito, sia della tossicità di questa droga che include intossicazioni, abusi e dipendenza, soprattutto nei soggetti che ne fanno un uso frequente o cronico. Sono questi recettori CB1 a mediare anche l’effetto pro-infiammatorio e pro-ossidativo della cannabis, con potenziale negatività sul cervello, per la neuroinfiammazione associata all’uso cronico. Il recettore CB2 media invece le azioni antinfiammatorie e antiossidanti.
Se una o più molecole agiscono su così tanti tessuti e sistemi, come si fa a dire a priori che una sostanza «è innocua»? Ancor più se usata con dosi bomba? Già nel 1600 il grande medico Paracelso sottolineava che «è la dose che fa la differenza tra il rimedio e il veleno». Su questo scenario di vulnerabilità, il cuore è il primo organo a rischio acuto: di infarto miocardico. Chi l’avrebbe detto? Segnalato vent’anni fa, questo rischio sta ora emergendo con forza proprio per l’uso esponenziale. Studi recenti hanno evidenziato che l’uso di cannabis aumenta di 4.8 volte il rischio di infarto nella prima ora successiva all’assunzione. Le caratteristiche dei soggetti colpiti sono: l’essere giovani (età media 31 anni, range 15-56, quindi anche giovanissimi!), maschi (94%), senza fattori di rischio coronarico noti, con evidenti alterazioni all’elettrocardiogramma nel 71% dei casi nelle prime sei ore dopo l’uso (Holly R. Middlekauff e collaboratori, “Drugs of misuse: focus on vascular dysfunction”, Canadian Journal of Cardiology, 2022).
Questi dati meritano la nostra attenzione e diffusione, in famiglia e a scuola. Perché la cannabis può essere devastante sul cuore? La concentrazione di THC nella canna usata è il primo fattore, la dose complessiva assunta è il secondo. Il terzo è la via di assunzione: la via inalatoria è più pericolosa rispetto a quella orale e sublinguale, soprattutto se contiene cannabinoidi sintetici, perché dà una violenta e rapida stimolazione dei recettori CB1 posti sui vasi sanguigni. Il quarto fattore è la distribuzione dei recettori CB1 nel singolo soggetto e la loro reattività al principio attivo THC e agli altri fito-cannabinoidi compresenti, che si traduce in diverse risposte vascolari. Le prime conseguenze sono la tachicardia e l’ipertensione, associata al vasospasmo, con seria ischemia del miocardio, fino all’infarto. Ischemia potenziata dalla ridotta ossigenazione del muscolo cardiaco, dovuta all’aumento del monossido di carbonio derivato dalla combustione della cannabis, cinque volte più alto rispetto ai fumatori di sigarette. L’effetto pro-coagulatorio aumenta poi l’aggregazione piastrinica e favorisce le trombosi.
Attenti dunque alla cannabis “ricreativa”, che può colpire a fondo il cuore. E non solo. Lo vedremo.
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