A parità di stress, professionale e non, alcune persone si ammalano, anche gravemente. Altre invece continuano a combattere, a lavorare intensamente e appassionatamente, apparentemente immuni da questo grande nemico della salute e della qualità della vita. E sono capaci di affrontarlo, e di reagire alle difficoltà, ordinarie e straordinarie, con nuove energie e intatto slancio. Con intatta passione.
Che cosa differenzia le persone, uomini e donne, capaci di affrontare costruttivamente lo stress, da quelle che ne sono ferite, usurate, schiacciate, fino alla malattia grave e alla morte?
Tre sono i fattori che le ricerche, condotte soprattutto negli USA, evidenziano come fondamentali.
Innanzitutto, il “committment”: l’intensità dell’impegno in quel determinato lavoro, la passione, il coinvolgimento, la dedizione e il piacere nel farlo. Attenzione: un impegno non compensatorio, rispetto a insoddisfazioni e frustrazioni nella vita personale o affettiva, tipico dei “work-aholics”, delle persone cioè che hanno sviluppato una vera dipendenza dal lavoro (che dà stress negativo), ma un impegno espressivo. Che nasce cioè dal felice incontro fra talenti da esprimere e un campo di applicazione o di interesse che consenta di coltivarli e affinarli al meglio. Un impegno che si rinforza nel vedere e nel sentire che questo costruttivo connubio fa crescere in modo lineare non solo la propria competenza, ma anche il gusto di impegnarsi proprio in quel campo, aumentando con questo anche la competitività “naturale” rispetto, per esempio, ai concorrenti. E che ha un insieme di ricadute positive sia sui collaboratori, sia sul mondo esterno.
Il secondo fattore è il controllo, o meglio, la percezione del controllo. La sensazione cioè di essere in grado di governare le situazioni – anche molto difficili – che si presentano, con un certo margine di efficacia. In tali casi, la persona non ha quell’incremento d’ansia distruttivo che è invece tipico dello stress negativo. Una consapevolezza che cresce con gli anni e l’esperienza, e che è quindi esattamente l’opposto del senso di impotenza tipico di chi invece soccombe allo stress.
Il terzo fattore è la flessibilità nel cambiamento. La capacità quindi di adattarsi rapidamente alla continua mutevolezza delle situazioni ambientali, sia nel microcosmo dell’azienda, dell’ufficio, della campagna, sia del mondo esterno. Mutevolezza legata, in quest’ultimo caso, alle capricciose variazioni dell’economia, della politica ma anche della sicurezza sociale, che ci sono purtroppo ormai familiari. Questa flessibilità, che molti chiamano “plasticità”, fisica e psichica, richiede strategie adattative veloci, con modesto o nullo rialzo adrenalinico, e la capacità di aumentare le interazioni con l’ambiente, invece di sottrarsi al confronto. Una ricognizione attiva, mentre ci si pongono due domande operative fondamentali.
La prima domanda da fare a se stessi, di fronte a un cambiamento, imposto o suggerito dalle circostanze, è un esplorativo: “Perchè no?”. Questo è l’atteggiamento migliore per cogliere le potenzialità di crescita, e di trasformazione, intrinseche anche in una situazione non voluta o che ci ha messo in obiettive difficoltà. E questo è vero in tutti gli aspetti della vita, della salute e perfino della malattia. Passato il momento acuto, quando l’evento professionale o esistenziale avverso ci mette profondamente alla prova, il “perché no” attiva i meccanismi creativi cosiddetti “di pensiero laterale”. Tipici cioè di chi si è abituato a porsi immediatamente la seconda domanda critica: “Cosa posso fare per uscire al meglio da questa situazione?”. Valutando con calma tutte le soluzioni possibili, anche e soprattutto inedite, invece che sprecare energie nell’autocompatimento o nell’accusare sistematicamente gli altri, ritenuti responsabili di ogni problema e contrarietà. Questo richiede di essere allenati a pensare ”fuori dalla scatola”, a ipotizzare soluzioni inedite da testare, senza sedersi presuntuosamente (e pericolosamente) sulle certezze o i successi di ieri. Lo stress divora invece, e fa ammalare, chi cerca disperatamente di mantenere lo status quo. Chi finisce per digerire rospi e rospetti, in famiglia o sul lavoro, perché terrorizzato/a all’idea di cambiare. Perché aggrappato alle certezze, anche frustranti, di ieri, solo perché conosciute. O perché rassegnato alla piccola infelicità quotidiana, considerata inevitabile.
E’ costituzionale, questa capacità di affrontare le difficoltà senza quasi stressarsi? Sì: le persone con questo talento hanno un sistema neuro-ormonale che ha un’eccellente capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti ambientali, con minore allerta interna rispetto alla media. E’ quindi un tratto costituzionale che è stato privilegiato nell’evoluzione, perché ha costituito nei millenni una strategia primaria di sopravvivenza. Tuttavia, la capacità di affrontare positivamente lo stress della vita può anche essere appresa, e migliorata. L’uso consapevole della respirazione profonda, il training di rilassamento, la meditazione, la capacità di crearsi un’oasi mentale in cui riposare, riprendere fiato e lasciare andare il pensiero, fino a raggiungere la pace della mente, sono tutte attività volontarie associate a una riduzione dell’adrenalina e degli indici biologici e psichici di stress. Un’ecologia della mente può aiutarci a vivere sani, con l’entusiasmo della giovinezza e la capacità adattativa positiva di chi ama confrontarsi con le sfide. Con l’impegno serio e lieve che mettiamo in un gioco amato, qual è la vita, con i suoi giorni di pioggia e i suoi giorni di sole.
Che cosa differenzia le persone, uomini e donne, capaci di affrontare costruttivamente lo stress, da quelle che ne sono ferite, usurate, schiacciate, fino alla malattia grave e alla morte?
Tre sono i fattori che le ricerche, condotte soprattutto negli USA, evidenziano come fondamentali.
Innanzitutto, il “committment”: l’intensità dell’impegno in quel determinato lavoro, la passione, il coinvolgimento, la dedizione e il piacere nel farlo. Attenzione: un impegno non compensatorio, rispetto a insoddisfazioni e frustrazioni nella vita personale o affettiva, tipico dei “work-aholics”, delle persone cioè che hanno sviluppato una vera dipendenza dal lavoro (che dà stress negativo), ma un impegno espressivo. Che nasce cioè dal felice incontro fra talenti da esprimere e un campo di applicazione o di interesse che consenta di coltivarli e affinarli al meglio. Un impegno che si rinforza nel vedere e nel sentire che questo costruttivo connubio fa crescere in modo lineare non solo la propria competenza, ma anche il gusto di impegnarsi proprio in quel campo, aumentando con questo anche la competitività “naturale” rispetto, per esempio, ai concorrenti. E che ha un insieme di ricadute positive sia sui collaboratori, sia sul mondo esterno.
Il secondo fattore è il controllo, o meglio, la percezione del controllo. La sensazione cioè di essere in grado di governare le situazioni – anche molto difficili – che si presentano, con un certo margine di efficacia. In tali casi, la persona non ha quell’incremento d’ansia distruttivo che è invece tipico dello stress negativo. Una consapevolezza che cresce con gli anni e l’esperienza, e che è quindi esattamente l’opposto del senso di impotenza tipico di chi invece soccombe allo stress.
Il terzo fattore è la flessibilità nel cambiamento. La capacità quindi di adattarsi rapidamente alla continua mutevolezza delle situazioni ambientali, sia nel microcosmo dell’azienda, dell’ufficio, della campagna, sia del mondo esterno. Mutevolezza legata, in quest’ultimo caso, alle capricciose variazioni dell’economia, della politica ma anche della sicurezza sociale, che ci sono purtroppo ormai familiari. Questa flessibilità, che molti chiamano “plasticità”, fisica e psichica, richiede strategie adattative veloci, con modesto o nullo rialzo adrenalinico, e la capacità di aumentare le interazioni con l’ambiente, invece di sottrarsi al confronto. Una ricognizione attiva, mentre ci si pongono due domande operative fondamentali.
La prima domanda da fare a se stessi, di fronte a un cambiamento, imposto o suggerito dalle circostanze, è un esplorativo: “Perchè no?”. Questo è l’atteggiamento migliore per cogliere le potenzialità di crescita, e di trasformazione, intrinseche anche in una situazione non voluta o che ci ha messo in obiettive difficoltà. E questo è vero in tutti gli aspetti della vita, della salute e perfino della malattia. Passato il momento acuto, quando l’evento professionale o esistenziale avverso ci mette profondamente alla prova, il “perché no” attiva i meccanismi creativi cosiddetti “di pensiero laterale”. Tipici cioè di chi si è abituato a porsi immediatamente la seconda domanda critica: “Cosa posso fare per uscire al meglio da questa situazione?”. Valutando con calma tutte le soluzioni possibili, anche e soprattutto inedite, invece che sprecare energie nell’autocompatimento o nell’accusare sistematicamente gli altri, ritenuti responsabili di ogni problema e contrarietà. Questo richiede di essere allenati a pensare ”fuori dalla scatola”, a ipotizzare soluzioni inedite da testare, senza sedersi presuntuosamente (e pericolosamente) sulle certezze o i successi di ieri. Lo stress divora invece, e fa ammalare, chi cerca disperatamente di mantenere lo status quo. Chi finisce per digerire rospi e rospetti, in famiglia o sul lavoro, perché terrorizzato/a all’idea di cambiare. Perché aggrappato alle certezze, anche frustranti, di ieri, solo perché conosciute. O perché rassegnato alla piccola infelicità quotidiana, considerata inevitabile.
E’ costituzionale, questa capacità di affrontare le difficoltà senza quasi stressarsi? Sì: le persone con questo talento hanno un sistema neuro-ormonale che ha un’eccellente capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti ambientali, con minore allerta interna rispetto alla media. E’ quindi un tratto costituzionale che è stato privilegiato nell’evoluzione, perché ha costituito nei millenni una strategia primaria di sopravvivenza. Tuttavia, la capacità di affrontare positivamente lo stress della vita può anche essere appresa, e migliorata. L’uso consapevole della respirazione profonda, il training di rilassamento, la meditazione, la capacità di crearsi un’oasi mentale in cui riposare, riprendere fiato e lasciare andare il pensiero, fino a raggiungere la pace della mente, sono tutte attività volontarie associate a una riduzione dell’adrenalina e degli indici biologici e psichici di stress. Un’ecologia della mente può aiutarci a vivere sani, con l’entusiasmo della giovinezza e la capacità adattativa positiva di chi ama confrontarsi con le sfide. Con l’impegno serio e lieve che mettiamo in un gioco amato, qual è la vita, con i suoi giorni di pioggia e i suoi giorni di sole.