Il primo è farlo giocare tanto, ma nella vita reale, non con computer o strumenti virtuali. Le prime informazioni che un bambino ha su di sé sono le emozioni che abitano il suo corpo: desiderio di muoversi, fare o avere qualcosa, paura, collera, angoscia abbandonica. Ognuna di queste emozioni evoca un movimento: di muoversi verso la cosa desiderata, di fuga da ciò che lo impaurisce, di aggredire chi lo fa arrabbiare, o di essere abbracciato e abbracciare se si sente solo e abbandonato. Se il piccolo non può esprimere le sue emozioni giocando attivamente e correndo, avrà un’onda d’urto di ritorno, fisica ed emotiva. Ripetuta, questa può erodere la sua energia vitale, fino a farne un bimbo triste e malinconico, passivo, se non francamente depresso, o renderlo sempre più inquieto fino a una vera diagnosi di disturbo dell’attenzione da iperattività.
Il primo errore è dunque tenere i bimbi fermi con gli occhi fissi su un gioco elettronico, sullo schermo TV o sul computer, dove ricevono continui e forti stimoli emotivi, ma senza la possibilità di esprimerli nel movimento. Col risultato che l’eccesso di emozioni inespresse intossica il cervello. E’ molto meglio incoraggiarli a giochi reali, dalla palla alla corda, all’antico gioco a nascondino, che con i piccoli si può fare anche in casa. Appena possibile, incoraggiarli a fare sport, meglio se di gruppo. Senza ambizioni immediatamente agonistiche, solo per soddisfare il narcisismo dei genitori, ma per il puro piacere di abitare un corpo contento di correre, giocare, sudare e sentirsi vivo.
I bambini che fanno sport e che hanno famiglie serene vanno anche molto meglio a scuola: perché sono in equilibrio tra corpo e mente, perché vivono ogni giorno in un corpo che si entusiasma, si accende e si tonifica, che si esalta ad imparare e migliorare, che nel mettersi alla prova si stanca e recupera poi in un buon sonno, come è giusto che sia.
Nel gioco attivo e nello sport il bambino allena così molte forme di intelligenza, utili per sentirsi vivi e gustare più a fondo la vita. Ottima palestra, anche, per imparare a mettersi alla prova e superare i propri limiti, di volta in volta più complessi. «L’io è innanzitutto un Io corporeo» diceva Freud, molto a ragione. Intelligenza motoria da allenare, dunque, insieme all’intelligenza emotiva e all’intelligenza tattica e strategica: tre strumenti cardinali per imparare a stare bene con se stessi e con gli altri e per riuscire poi nella vita, affettiva e professionale.
Per i bimbi che mostrano sensibilità musicale, benissimo il canto, il ballo o suonare uno strumento. Opportunità di esperienza di sé e del mondo davvero preziosa, ma poco sperimentata in Italia. All’opposto, per esempio, del Venezuela, dove la musica ha mostrato il suo straordinario potere di dare le ali a migliaia di bambine e bambini, togliendoli da contesti di degrado e di potenziale abuso.
Musica e movimento sono potenti antidepressivi naturali, l’antidoto più fisiologico a quella inquieta inerzia che è il primo passo verso una depressione franca. E benissimo trovare ogni giorno il tempo per giocare con i propri figli, e conversare con loro. Solo con un dialogo costante, aperto e affettuoso, è possibile trasmettere ai figli il senso della vita, assaporato attraverso l’affetto e l’amore. Ed è importante, ogni giorno, far ripetere a voce alta almeno alcune lezioni, concentrandosi su di loro, senza fare altro.
Sì, ci vuole tempo. Un tempo dedicato e affettuoso, che dimostra attenzione, passione, senso delle priorità. Ma che senso ha, altrimenti, avere un figlio per poi parcheggiarlo tutto il giorno tra baby-sitter, scuola e, se si è fortunati, due nonni? Il tempo dedicato è il fondamento di un dialogo di qualità, il più potente antidoto della perniciosa “sindrome del marziano in casa”: questo sconosciuto chiamato figlio, che ci inquieta, non ci ascolta e non comprendiamo più. Solo e annoiato, in cerca di occasionali sensazioni forti, per sentirsi vivo, e pronto a buttarsi via, perché non ha conosciuto la bellezza appassionante della vita vissuta con testa, corpo e cuore.
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