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Confrontarsi o aggredire? Elogio del gusto di argomentare

23/12/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

«Gentilissimo Direttore, mi riferisco all’articolo di Alessandra Graziottin “Come aiutare i figli a realizzare se stessi”. Concordo in generale con quanto affermato dalla dottoressa Graziottin, ma sono rimasta sconcertata dalla frase riportata verso la fine dell’articolo: “Che senso ha avere un figlio per parcheggiarlo tutto il giorno tra baby sitter, scuola e, se si è fortunati, due nonni?”. Sono d’accordo sul fatto che i figli vadano seguiti, che si debba parlare e giocare con loro, ma non dimentichiamoci che le persone “normali” e “comuni” per vivere hanno bisogno di lavorare e quindi non possono stare con i loro figli tutto il tempo che vorrebbero. Inoltre non ritengo che la scuola, la baby sitter o i nonni possano rappresentare un “parcheggio”, bensì tante diverse esperienze, tutte utili e arricchenti per la crescita dei bimbi. Mi spiace, ma credo che non mi soffermerò più a leggere gli interventi della dottoressa Graziottin, visto che si permette di offendere tutte le brave persone che sono costrette a lavorare e fare sacrifici anche per assicurare un futuro migliore ai propri figli. E aggiungo che il lavoro può anche essere gratificante e quindi dare ai genitori la possibilità di essere più felici, cosa molto importante per i bambini. Io ho due gemelli di 4 anni, una baby sitter, due nonni e un lavoro impegnativo; mi ritengo fortunata di avere tutti questi aiuti e credo che la scuola sia fondamentale per i bimbi e non un semplice “parcheggio”» (Padova, lettera firmata).
Rispondo volentieri a questa lettera inoltratami dal Direttore del Gazzettino, e che trascrivo integralmente, per due motivi: di merito e di metodo. Mi scuso anzitutto se la frase può aver offeso la sensibilità della signora e di altre donne che lavorano e devono organizzare con sacrificio e fatica un’agenda impegnativa su molti fronti. La frase poteva essere più sfumata. Colgo la critica come opportunità per spiegarmi meglio. Il contenuto nasce infatti da un’esperienza clinica con donne, figli adolescenti e famiglie, e di studio, che mi ha portato a vedere (anche) il lato oscuro e rischioso della delega ad altri dell’educazione dei figli, oltre che gli aspetti positivi. Il tutto come spunto di riflessione per ridurre alcune vulnerabilità obiettive le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
I risultati della delega dipendono da molte variabili, tra cui:
1. precocità con cui il bambino viene affidato ad altre persone/strutture: più piccolo è il bimbo, maggiore è la probabilità di ferire il suo bisogno di attaccamento stabile, più forte nei piccoli ansiosi di carattere;
2 qualità delle persone cui viene affidato: si ritiene che fino a un terzo della “shaken baby syndrome”, della sindrome del bambino scosso (con movimenti bruschi che possono provocare progressive lesioni cerebrali tipo colpo di frusta, senza segni di percosse), possa essere causato da personale inadeguato. Negli Stati Uniti ne sono colpiti circa 50.000 (!) bambini l’anno: molti genitori utilizzano ormai telecamere collegate con l’ufficio per monitorare come il piccolo venga seguito a casa. Anche senza questi drammatici eccessi, i piccoli sono spesso lasciati per ore davanti alla televisione invece di essere coinvolti in giochi attivi o letture;
3. turnover elevato delle baby-sitter/maestre: magari il piccolo si è molto affezionato a una tata brava e il perderla, per le più varie ragioni, può essere un ulteriore trauma sul bisogno di attaccamento e di fiducia, con contraccolpi ansioso-depressivi e di graduale chiusura su futuri legami;
4. tipo di interazioni con i genitori: molti, per i sensi di colpa di vedere il bambino meno di quanto vorrebbero, tendono poi a viziarlo, a dargliele tutte vinte, facendone un piccolo tiranno.
In positivo, lo scegliere persone adeguate e stabili – in questo senso i nonni sono preziosi – può minimizzare i rischi e ottimizzare il percorso di crescita.
Riconoscere che una strada ha dei semafori rossi e dei tratti difficili, non significa non farla, ma ottimizzare il percorso procedendo con cura e attenzione. E chi mette in guardia sulle difficoltà, non offende: semplicemente cerca di evitare che alcuni rischi diventino lesioni reali. Il metodo, oggi in crisi evidente, è quello del confronto dialettico, che nasce dall’ascoltare davvero le argomentazioni altrui e criticarle costruttivamente: se l’altro si è espresso male, può e dovrebbe spiegarsi. E scusarsi, se ha involontariamente ferito. Dal confronto serenamente reciproco si dovrebbe uscire entrambi con una visione delle cose arricchita dalla critica e dalle osservazioni dell’altro/a. Un esercizio utile per tutti.

Adolescenti e giovani Bambini Comunicazione Educazione Lesioni cerebrali Riflessioni di vita Sindrome del bambino scosso

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