«Che cosa mi piacerebbe essere e fare?» (con principio di realtà). Ecco una domanda cruciale a ogni età. Anche per i molti intorno ai cinquanta-sessant’anni, quando gli impegni di famiglia si alleggeriscono. E davanti ci sono ancora venti-trent’anni o più. Viverli in grigio, o a colori? Come riempire di energia e di gioia questa seconda (parte della) vita? Da ragazza amavi ballare? Continua a farlo, almeno una sera la settimana, anche se gli impegni di famiglia incombono e il marito, per il ballo, è negato. Da ragazzo ti divertivi a giocare a calcio? Ricerca i tuoi amici, o ricomincia con una squadra di nuovi, almeno il sabato pomeriggio o la domenica mattina. Ti sarebbe piaciuto suonare il pianoforte, ma non hai potuto? Comincia adesso! Ti piaceva l’inglese, ma hai lasciato presto la scuola, e ora hai un rammarico grande? Ricomincia ora, non è mai troppo tardi: l’apprendimento è molto più veloce quando si è davvero motivati a imparare. E cerca un corso per ragazzi. Frequentare persone giovani è un anti-age formidabile! E imparare con i giovani è un’ottima ginnastica per il cervello, un “brain-fitness” indispensabile per essere autonomi ed entusiasti.
Sei tu stesso ancora giovane e non hai un impegno di famiglia? Va a lavorare all’estero, per un anno o più: togli le incrostazioni della routine, consentiti la sfida di una vita meno sicura, forse, ma più esaltante. Senza paura. Parti, vai. Hai sempre amato camminare in montagna e adesso non riesci ad andarci nemmeno un week-end all’anno perché i bambini sono piccoli? Se le montagne sono vicine, ritornaci da solo, almeno per una camminata lunga, in giornata. E portaci i figli, non appena sono in grado di seguirti. Seguire un genitore in una passione e condividerla è uno dei piaceri più grandi della vita: le camminate in montagna a cercar funghi con papà e i miei fratellini me le ricordo ancora. Che gusto! Ami gli animali, avresti voluto fare il veterinario, ma non hai potuto studiare? Unisciti alla lega per la protezione animali, o alla Lipu, vai ad aiutare al canile municipale. C’è solo l’imbarazzo della scelta, quando vogliamo renderci utili davvero, perché questo ci fa sentire meglio.
Il senso di pienezza, nella vita, non viene solo dal lavoro, che per molti è una pura necessità per campare. Può invece venire dal realizzare quelle parti di noi che sono rimaste inascoltate o non vissute: preziose perché sono la nostra verità. Parlano di noi, del nostro io profondo, della nostra vocazione più vera. Che va vissuta, con tutto l’amore che merita, perché ci fa ri-conoscere a noi stessi, scoprendo di poter (ri)vivere con un’intensità inattesa e nuova. Il primo passo concreto verso la felicità è sentire di esprimere al meglio la propria verità: quel «conosci te stesso… e realizzalo», che è la prima base sicura per avere poi relazioni – d’amore e di amicizia – intense e gratificanti. Certo, è un percorso che dura tutta la vita. Ma la stella del Nord che ci guida è questa ricerca di sé, dell’essenziale che è la nostra vera identità, imparando a distinguerlo dall’inessenziale, o da ciò che non ci appartiene come verità, per lasciarlo andare, più leggeri e liberi di essere noi stessi. Senza tradimenti interiori e senza amputazioni. La felicità quotidiana non sta solo nell’innamoramento, ma ancora di più, e più stabilmente, nell’amare ciò che si è e si fa.
Chi sconsiglia di vivere di foto ingiallite? Madre Teresa di Calcutta, donna dedicata a ciò che per lei contava davvero nella vita: la cura dei malati e dei morenti. Al giornalista che le diceva «Non so come faccia a fare un lavoro così duro, tutto il giorno a contatto con il dolore, con corpi devastati, con la solitudine della morte. Io non lo farei nemmeno per un miliardo di dollari», sembra abbia risposto: «Neanche io lo farei per denaro, nemmeno per un miliardo di dollari. Ma per amore, sì».
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