Le conseguenze della crisi economica in corso, e delle precedenti che si sono susseguite dal 2001, sono più evidenti nei Paesi che hanno più subito la recessione in questi ultimi anni. In parallelo, colpiscono i bambini fin dall’inizio della gestazione, attraverso le molte carenze nutritive, l’allarme adrenalinico e lo stress emotivo che segnano il corpo e la mente della mamma. Il danno subìto in utero ha un’onda lunga che può alterare tutta la vita futura e il destino di salute, fisica e mentale, dalla prima infanzia all’età avanzata.
Dati drammatici su questa trascurata realtà sono stati presentati al congresso mondiale di “Controversies in Obstetrics and Gynecology” (COGI), tenutosi a Berlino dal 2 al 4 dicembre, dal professor Gian Carlo Di Renzo, ginecologo italiano che è un’autorità mondiale in medicina perinatale. Ecco quelli salienti, per l’Europa: in Grecia, dal 2005 al 2014, il prodotto interno lordo si è ridotto del 15%. La disoccupazione è triplicata, con picco di emigrazione, soprattutto dei giovani. La fertilità si è ridotta del 20%. Inquietante: la mortalità perinatale è aumentata addirittura del 41%, con incremento del 7% di neonati nati piccoli, nettamente sottopeso rispetto all’età gestazionale, per le carenze nutritive e le ripercussioni di più serie patologie materne subìte in utero. Simili dati per la Spagna, nel periodo 2001-2013, con massima vulnerabilità in gravidanza registrata nelle donne casalinghe, disoccupate, con scolarità solo primaria, senza mezzi di sussistenza economica perché povere o licenziate. Con l’aggravante della privatizzazione del sistema di assistenza sanitaria, che ha lasciato scoperta e senza aiuto proprio la parte più fragile della popolazione femminile. In Islanda, tra il 2006 e il 2009, c’è stata un’impennata di nascite premature con bambini di basso peso alla nascita, 6-9 mesi dopo il collasso economico. Anche negli Stati Uniti la relazione tra il livello di occupazione della mamma e le conseguenze sul feto è netta: i bambini nascono con un peso tanto più basso, stressati già in utero, quanto più la mamma è stata costretta al passaggio da tempo pieno a parziale, o licenziata. La disoccupazione aumenta il rischio di morte del feto, massimo tra le donne non-bianche (ispaniche, asiatiche, nere).
Perché è importante riconoscere questa precisa relazione tra situazione occupazionale della mamma e destino del bambino? Perché in quei nove mesi si scrivono le vulnerabilità di sviluppo, o i punti di forza nelle gravidanza serene e ben seguite delle mamme che lavorano, di tutta la vita futura di quel bambino o quella bambina. Se sono lese già le fondamenta della salute fisica e mentale, difficilmente il piccolo potrà poi esprimere al meglio i suoi talenti. Anche perché l’ambiente svantaggiato post-natale continuerà la sua opera sinistra di asfissia delle potenzialità, brutalizzandone il destino. Per questo si parla oggi di origine nello sviluppo di salute e malattia (Developmental Origins of Health and Disease, DOHaD). Quando il decorso della gravidanza è turbato per carenze fisiche e stress materno, aumenta il rischio di malattie infiammatorie e autoimmuni: a esordio precoce, sin dall’infanzia, come avviene per le malattie respiratorie, quali asma, atopie e allergie, anche alimentari e cutanee, e a esordio più tardivo, fra cui ipertensione e altre malattie cardiovascolari, obesità, diabete, demenze.
Com’è possibile? diranno lettrici e lettori. La sofferenza fetale severa e persistente in utero modifica le possibilità di espressione dei geni del piccolo. Esaspera i geni patogeni, e silenzia i protettivi. Come se un progetto, bello all’inizio, venisse amputato, a volte per sempre, delle sue parti migliori. Il basso peso alla nascita, rispetto all’età gestazionale, è solo il segno più evidente del profondo danno biologico e psichico che il piccolo ha già subito. Pensare nel futuro significa assistere molto meglio, sin da ora, le donne in gravidanza, tutelandone di più anche il diritto al lavoro e alla serenità economica.
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