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Dalla depressione alla demenza: un declino che si può prevenire

Dalla depressione alla demenza: un declino che si può prevenire
10/05/2023

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Mia sorella, 55 anni, donna colta e vivace, a cui sono molto legata, è precipitata in una depressione profonda dopo la morte del marito, l’anno scorso. Nonostante buone cure psichiatriche, sta perdendo la memoria. Questo mi angoscia tanto. La depressione può portare alla demenza? La terapia ormonale la potrebbe aiutare? Cosa potrei fare per riportarla alla vita?».
Annamaria S. (Pisa)
Sì, gentile signora, la depressione è un fattore sottovalutato di deterioramento cognitivo. Intuisco la sua profonda inquietudine, ben motivata, perché la depressione agisce in modo ancora più pervasivo dopo la menopausa. La carenza di ormoni sessuali, estradiolo e progesterone, e la riduzione età-dipendente del testosterone agiscono da acceleratore sulla neuroinfiammazione che alimenta sia la depressione, sia il deterioramento cognitivo, con un potenziamento reciproco.
Quali gli elementi comuni? Innanzitutto, la depressione indica un rallentamento diffuso dell’attività cerebrale: un cervello in frenata, per così dire. Più il cervello rallenta l’attività, più si disattivano le connessioni tra i diversi neuroni. Le autostrade di circuiti dendritici che sottendono il pensiero di una mente brillante diventano allora sassose strade di montagna dove il passo inciampa, e il pensiero e la memoria si perdono. Senza stimoli, si riduce anche la manutenzione delle cellule nervose e si formano meno connessioni fra ciascun neurone e i suoi vicini.
Un lutto, a sua volta, è un tremendo fattore di stress, che aumenta il cortisolo, ormone dell’emergenza: se i suoi livelli restano alti, aumenta la neuroinfiammazione, quel microincendio biologico che peggiora insieme depressione e demenza.
Interessante: in menopausa, ogni vampata di calore raddoppia i livelli di cortisolo e li mantiene più alti per le due-tre ore successive alla vampata stessa. Ecco perché la sua domanda è molto pertinente. Sì, una terapia ormonale ben personalizzata può ridurre depressione e deterioramento cognitivo, perché riduce i fattori peggiorativi, come le vampate e le alterazioni del sonno, cardiovascolari e metaboliche, e migliora i fattori riparativi, fra cui la manutenzione del cervello che gli ormoni sessuali ottimizzano, sempre in sinergia con la terapia psichiatrica.
La sua presenza affettuosa sarà co-terapeutica, ancor più se riuscirà ad accompagnare sua sorella anche per brevi passeggiate di almeno 15-30 minuti, all’aperto, per migliorare i bioritmi e tornare a riassaporare insieme il gusto della vita, alla luce del mattino.

Pillole di salute

«Perché dopo la menopausa aumentano le rughe?».
Rossella C.

I fibroblasti sono gli “operai costruttori” che garantiscono la qualità della struttura sottocute: producono collagene, elastina e mucopolisaccaridi, ossia i tre componenti fondamentali dai quali dipendono il turgore, lo spessore e l’elasticità della pelle. Dopo la menopausa, l’attività dei fibroblasti, così sensibili allo stimolo positivo degli ormoni sessuali, si riduce del 30% e più. Il sottocute si assottiglia, e le rughe diventano più fitte e profonde. In assenza di controindicazioni, la prima cura di bellezza antiage e antirughe è una terapia ormonale sostitutiva ben fatta, perché rimette al lavoro contenti anche gli amici fibroblasti.

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