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Dalla parte della piccola Diana

Dalla parte della piccola Diana
01/08/2022

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Diana, 18 mesi, è morta nella culla. Morta di fame, di sete, di disperazione, di solitudine, dopo sei giorni di abbandono in una casa con trenta gradi. Uccisa dal più atroce e colpevole degli abbandoni. Una bambina che sembra non essere mai esistita nel cuore e nella testa di sua madre. Diana è stata abbandonata emotivamente ben prima di nascere. Concepita per caso: «Non sapevo neanche di essere incinta», ha detto la madre. Nata per caso, prematura al settimo mese, in casa. Figlia per caso, lasciata sola la sera o interi weekend, a detta della madre, per andare a divertirsi, con il compagno, padre della bambina, o con altri. Morta tra i suoi bisogni maleodoranti, con accanto un biberon e un flacone di benzodiazepine, psicofarmaci ad azione sedativa. Uccisa con crudele e cinica lentezza da una madre snaturata, Alessia Pifferi, 36 anni. A Milano.
L’assassinio di Diana ha una colpevole con molte aggravanti. Ha anche alcuni complici dell’indifferenza che l’ha uccisa. E spettatori, ciechi e sordi. Se abbiamo un cuore potremmo sentire la voce sommessa e fragile di Diana che ci interroga: perché mio padre, che andava a divertirsi con mia madre, non si è accorto e preoccupato di nulla? Perché mia zia e mia nonna non hanno visto quanto ero trascurata e maltrattata? E intontita e rallentata dagli psicofarmaci? Possibile che “dormissi” sempre? Perché in gravidanza era come se non ci fossi? Perché nessuno si è accorto del mio dolore, della mia solitudine, della mia fame d’amore? Pediatri e assistenti sociali, dov’erano?
Ora siamo qui, amari e inquieti. E’ ancora Diana a interrogarci con una domanda esigente, se siamo disposti a metterci una mano sulla coscienza: pensate che la mia sia una tragedia isolata? Non è così. Tanti altri bambini sono trascurati, maltrattati da madri e padri indifferenti, aggressivi, irritati, crudeli, che li vivono come un peso, come una limitazione alla loro libertà. Non fino a essere uccisi fisicamente, come me. Ma possono essere uccisi nell’anima e nel cuore. Se non si è amati da piccoli, non si può amare se stessi, gli altri, e la vita. Rispondete: quanti padri biologici sono del tutto indifferenti al loro piccolo? Non ci si può sorprendere della morte di una figlia chiedendo, dopo sei giorni di divertimenti: «Ma non era con tua sorella?». In sei giorni una telefonata alla zia per sapere come sta la piccola e sentire la voce della bimba, non si fa? Quanti altri padri biologici sono latitanti, e complici di trascuratezza e abbandono affettivo, se non fisico?
Diana ci interroga a nome di tutti i bambini trascurati, maltrattati e intontiti di benzodiazepine, perché non disturbino col loro pianto. Ed è lei, con la sua morte, a imporci un’altra riflessione: in questo Paese abbiamo il mito della maternità biologica. Ma se una donna non ha nessuna capacità materna, ed è talmente crudele, cinica e senza cuore da diventare una carnefice fino ad essere assassina, perché non viene riconosciuta? Perché non le si toglie la figlia o il figlio definitivamente, dandolo a una coppia che li sappia amare? Una donna così non migliora, non matura, e comunque non a spese di una bambina innocente che, anche se fosse vissuta, ne avrebbe avuto cicatrici indelebili per sempre.
Torno sull’indifferenza, complice fino alla morte. Possibile che nessuno si sia accorto che la piccola era gravemente trascurata? Come la trattava la madre quando era con lei? Se la percepiva come un peso, è probabile che tutto il rapporto fosse alterato. La mancanza di tenerezza, di affetto, di uno sguardo d’amore privano un neonato e un bambino del più essenziale dei nutrimenti. Invece di un abbraccio tenero e luminoso, per confortarla, invece di tenerla accanto con dolcezza, per sciogliere la paura del buio che ogni piccino ha, la madre dava alla piccola Diana le benzodiazepine: per uscire indisturbata. Perché la piccola “dormisse”, del più torpido e pericoloso dei sonni: una bimba trattata così, forse fin dalla nascita, ha subito un martirio quotidiano. Nessuno ha sentito il suo bisogno di attenzione, di tenerezza, di amore? Madri snaturate ci sono forse sempre state, per fame e disperazione: ma non con una motivazione così egoista, “per essere libera di andare a divertirsi”.
La mitologia della maternità, così forte nel nostro paese, tiene nell’ombra la complessità della maternità. Essere madri è anche faticoso. Richiede sacrifici, non solo di tempo, e rinunce. La vita con un bimbo non è più quella di prima. Chiede padri che sappiano esserlo. Famiglie disposte ad aiutare. E una società meno farisea. Mettiamoci una mano sulla coscienza, per essere più vigili. Per non lasciare che bambini sfortunati muoiano di trascuratezza fatale. Diana ci interroga, mentre muore sola, al buio, in un caldo atroce, piangendo sempre più piano.

Crimine Indifferenza Omicidio / Femminicidio / Infanticidio Rapporto mamma-bambino Riflessioni di vita Violenza e cinismo

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