Conversando con le persone più diverse, emerge un commento condiviso: «Altro che saremo migliori! Guardi che aggressività pazzesca! Che intolleranza, che violenza di modi e di espressioni!». «E la frustrazione?! Non ho mai visto così tanti frustrati in giro. Ognuno sta tirando fuori il peggio di sé!». «Un disastro! Per me la vera pandemia è di occhi morti e cervelli fritti! Il Covid, o il lockdown che sia, si è bevuto il cervello della gente. Morti i neuroni svegli, dentro la testa è rimasta segatura e qualche neurone azzoppato per continuare la fake di essere vivi!».
Sono letture parziali, tra il pessimistico, lo sconsolato, il catastrofista e il comico per paradosso, come tutte le letture polarizzate della vita. Contengono peraltro molte amare verità. Le prolungate chiusure hanno accelerato in molti anziani, e non solo, un deterioramento cognitivo visibile. Qualcuno lo nota: «Ho il cervello nella nebbia»; per la maggioranza, purtroppo, lo notano gli altri. Depressione e ansia, in tutte le fasce di età, hanno ridotto le potenzialità di apprendimento e di lavoro, ma anche di vivere gli affetti in modo più soddisfacente. Hanno aumentato pessimismo, collera, rabbia, frustrazione, aggressività: sentimenti negativi che accecano la capacità di osservare la realtà con occhi limpidi, riducendo anche la calma per cogliere le opportunità che la vita offre per ricominciare con fiducia.
Al lato opposto, c’è un altro gruppo articolato, una minoranza in verità, che è riuscito a dare una svolta alla propria vita. E non intende tornare indietro, perché il nuovo assetto presenta vantaggi esistenziali “non più negoziabili”. In questo gruppo ci sono anzitutto coloro che hanno il merito e la fortuna di lavorare con passione. C’è stata qualche montagna russa di riaggiustamento del metodo, del ritmo e della sede, perché lavorare in due in casa, con uno o due figli in DAD, ha comportato rivoluzioni di spazi, modi, orari e convivenze. La modalità di lavoro da remoto, almeno parziale, è stata comunque un giro di boa verso una migliore qualità di vita, e anche di lavoro. La produttività resta alta, perché chi lavora con e per passione non ha bisogno di restare a casa per fare il pic-nic con gli amici. Semmai, con più ore di sonno, meno stress da trasporti, più soddisfazione nello stare con i figli, il/la partner e gli amici, più tempo per lo sport o un’altra passione, la lucidità di pensiero aumenta. La calma aiuta a dare risposte di merito, costruttive, invece che reattive o intolleranti. La riduzione del tempo adrenalinico – già solo le code dei trasporti in città – e l’aumento del tempo pacato aiutano ad avere visioni più equilibrate dei problemi, a intuire soluzioni nuove, a “vedere” lontano.
C’è poi il gruppo che ha dato nuovo valore alla cultura, perché ha trovato nelle molte limitazioni di movimento di questo periodo, ma anche nel minor stress da spostamenti e maggior riposo, uno stimolo per tornare a viaggiare con la mente: con i libri e con la musica, soprattutto, evitando di narcotizzarsi il cervello con un’overdose di social. E nuovo entusiasmo nel lavoro manuale: dal giardinaggio al ricamo, dalla cucina al bricolage da condividere con i figli, che adorano imparare a fare con le loro mani. In comune, questi gruppi, per altri aspetti diversi, hanno un grande rispetto per il valore del tempo, il tempo della vita di qualità, da valorizzare con ancora più attenzione e cura quando i limiti diventano più stretti e cogenti. Ognuno di noi ha un cestino di opportunità sprecate. Merita riconsiderarle, per apprendere da quelle perdute per sempre. E per ridare nuova fiducia alle opportunità di vivere meglio, con più consapevolezza e lucidità, con più calma ed energia, per un uso del tempo più strategico e gratificante.
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