Torna in mente Eraclito, filosofo greco: «Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi». Questo lo sosteneva circa 2500 anni fa. Le tre parole scelte da questo squisito filosofo sono ciascuna uno stimolo a monitorare con più consapevolezza il proprio agire. Ad interrogarsi su quale “io” si esprima e maturi nel nostro fare, pensato e scelto. E in quello dei nostri figli, dei nostri allievi, dei nostri ragazzi.
“Scegliere” è la prima parola, luminosa e soddisfatta, privilegiata da Eraclito. Dal latino ex-eligere, “scegliere da”, è l'espressione positiva di un percorso valutativo, di analisi di pro e contro, di confronti interiori, fino a elaborare una decisione che ci lascia contenti: «Ho scelto bene», dove il bene è un rafforzativo di un percorso valutativo che già in sé dovrebbe dare esiti positivi, per la qualità intrinseca che dovrebbe nutrirlo. Stiamo educando a scegliere? O stiamo obbligando a ripetere come automi gesti che dovrebbero essere un mezzo per restare in salute, come l’uso rigoroso delle mascherine, e non il fine di una mattinata di insegnamento? Stiamo coltivando un’identità inquietante “di pulitori di banchi” (ogni venti minuti? ogni ora?). Siamo sicuri che questa frenesia di disinfezioni riduca significativamente il rischio di infezione da virus respiratori? Non basterebbe che fosse fatta dal personale preposto alla pulizia prima dell’entrata in aula, mantenendo invece l’uso della mascherina in classe, e della disinfezione delle mani al momento dell’entrata? L’ossessione del disinfettare quanto sottrae alla sostanza dell’apprendere? E’ coerente con normative ministeriali o espressione di angosce di infezione, più accese in alcuni insegnanti? O è invece il vissuto negativo che i bambini esprimono perché respirano ansie acute in famiglia? Ansie che li portano a una percezione peggiorativa della realtà, vanificando lo sforzo notevole che molti insegnanti fanno per conciliare una didattica di qualità con il disturbo delle molte disinfezioni obbligatorie? Ogni ipotesi contiene una parte di verità. Resta il fatto che le lezioni sono molto disturbate e ridotte nei tempi, se non nella qualità.
“Pensare” è la seconda parola chiave scelta da Eraclito: il latino “pensare” è un intensivo di “pendere”, propriamente “pesare con precisione”, poi ponderare, esaminare. Ben lontano da quella insalata di parole in libertà cui molti oggi mettono pomposamente l’etichetta “io penso che” senza alcuna cognizione né competenza sull’argomento in discussione. Eraclito anticipa il principio fondamentale della filosofia di Cartesio “cogito, ergo sum”, “penso, dunque sono”. Difficile pesare con precisione un pensiero, se il contesto è così disturbato da ossessioni spurie.
La nostra identità comincia a strutturarsi nella mente, modulata dal corpo e dallo scegliere, fino a tradursi in un “fare” espressivo e coerente con il pensiero e le scelte che lo sottendono. Scegliere, pensare, fare sono tre espressioni dell’essere che non sono innate. Si apprendono. Si affinano. Migliorano nell’arco della vita, se restiamo dinamici, aperti, sanamente autocritici. Se siamo coraggiosi nel confrontarci con riflessioni e osservazioni che ci aprano nuove finestre nella mente e stimolino nuovi pensieri. Come? Leggendo. Conversando in modo intelligente.
Qui si impongono riflessioni più generali. Questa scuola insegna a pensare? Insegna a scegliere? E l’educazione in famiglia, a che cosa mira oggi? Educa a pensare, a scegliere e a fare, con coerenza tra pensiero e azione? L’orizzonte è opaco. Quali antidoti abbiamo verso la pandemia del minimalismo culturale? Ri-stimoliamo i bambini a leggere. E a farci un riassunto a voce alta. Riprendiamo il tempo per ascoltarli con cura. Per conversare e discutere anche di storia o geografia. Di scienze e letteratura. Di arte e musica. Torniamo noi stessi a leggere di più. A condividere le ragioni di piccole e grandi scelte, con conversazioni stimolanti. A fare bene le cose, dopo averle ben scelte e pensate. Anche questa è squisita arte di vivere, che ci aiuta a essere migliori.
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