Da che cosa nasce questa presa di posizione? Anzitutto, dalla crescente preoccupazione delle autorità sanitarie dei Paesi ad alto reddito, Stati Uniti in testa, per l’escalation nell’uso di analgesici, e in particolare di oppioidi, con dipendenze poi gravi e invalidanti per la persona colpita da dolore. Oppioidi che perpetuano la cronicizzazione: questi farmaci sono sintomatici, in quanto agiscono sul dolore centrale, ma non sulle sue cause. Non sono quindi curativi, ed è questo il loro aspetto più sinistro, insieme alla progressiva dipendenza. Secondo, dalla considerazione che la dipendenza dai farmaci pone il/la paziente in uno stato di passività ingravescente, in cui l’Io affonda in una palude di depressione, collera, ansia, rassegnazione, a seconda della durata del dolore, della sua gravità, dell’età, dello stato di solitudine percepita, dei margini di speranza che la persona riesce o meno ancora a intravvedere. Terzo, dal fatto che la passività, unita alla depressione, porta a una progressiva inerzia e sedentarietà, che a loro volta contribuiscono ad aumentare l’infiammazione, locale e sistemica, che alimenta il dolore.
Ogni tipo di dolore può essere considerato come un grande fiume, dove scorre l’infiammazione che parte dai tessuti e inonda poi anche il cervello, nei suoi diversi dipartimenti: il sistema nervoso centrale, il sistema nervoso viscerale (potente nel determinare il tono dell’umore) e il sistema nervoso periferico. Questo fiume ha tanti affluenti: passività e sedentarietà possono aumentare l’infiammazione che scorre in ciascun affluente e il dolore che essa sottende. Passività e sedentarietà sono così nefaste dal punto di vista del dolore perché riducono i livelli di tre neurotrasmettitori, la dopamina, la serotonina e gli oppioidi endogeni, che hanno una potente attività antalgica. Questo è il punto centrale della questione: meglio potenziare in modo naturale gli analgesici interni, che aumentano se facciamo attività fisica, invece di usare gli insidiosi analgesici esterni. In più l’attività fisica aerobica riduce l’infiammazione in molti altri affluenti: per esempio, migliora l’utilizzo periferico dell’insulina, contrastando la tendenza all’aumento di peso che l’inattività fisica comporta; riduce la produzione di altri fattori dell’infiammazione da parte delle cellule adipose, che peggiorano nettamente lo stato di salute generale. L’ideale sarebbe condividere l’attività fisica, unita a esercizi posturali e di ginnastica dolce, con altre persone che soffrano di condizioni simili, con la guida di un/a fisioterapista esperto in riabilitazione. L’aspetto posturale è critico, perché il dolore tende a indurre posizioni antalgiche che nel medio lungo termine possono contribuire ad altre cause di dolore: viscerali, muscolari, articolari.
L’attività fisica aerobica ha poi altri meriti: scarica in modo sano le emozioni e le energie negative e ricarica energia emotiva pulita; aiuta il sistema neurovegetativo a rimanere più a lungo sotto la direzione del sistema parasimpatico, ossia il comandante dei tempi di pace, sottraendo tempo e spazi al comandante dei tempi di guerra e di allarme, il sistema simpatico/adrenalinico e del cortisolo, che è invece attivato dal dolore, dalla solitudine, dalla reclusione in casa, dal lento avvelenamento con alcol e “comfort food”. Il movimento fisico ci riporta dal passivo all’attivo, non solo in senso motorio, ma anche mentale e motivazionale: non è un caso che la dopamina sia il neurotrasmettitore principe sia della voglia di fare, di vivere, di amare, la vita e/o qualcuno, sia del movimento! Sentirsi più attivi significa poter cercare soluzioni diverse alla propria sofferenza, cercando di superare il muro dell’infelicità. Una strategia che meriterebbe di essere realizzata a livello di sanità pubblica, per dare concretezza, efficacia e durata a raccomandazioni buone, ma altrimenti non incisive.
Dolore acuto / Dolore cronico Infiammazione Sport e movimento fisico