C’è la storia di Silvia che a 25 anni, da una crisi epilettica improvvisa, scopre di avere un tumore alla testa. Resta emiparetica dopo l’intervento, viene lasciata dal fidanzato, abbandonata da molti amici. La malattia spaventa, molti si allontanano per sempre. Restano i suoi preziosi genitori. Con coraggio raro Silvia affronta recidive e devastazioni. Riesce a laurearsi, pur in carrozzina e con i segni pesanti della chemioterapia che rendono più pesante l’apprendere. Con una riabilitazione intensissima torna a camminare sempre meglio. E sale anche sul Sassolungo, sulle Dolomiti. Un’ascesa che è il simbolo di un’uscita dall’inferno per tornare ad assaporare la vita, in un cammino verso le vette che prima di essere fisico è spirituale, emotivo, motivazionale. «Per aspera, ad astra», dicevano gli antichi: «Attraverso le cose difficili si arriva alle stelle», dentro di noi e poi nei rapporti umani.
Un’altra dottoressa non parla del suo inferno nel cancro con recidive, ma di quanto l’avere scoperto le “Pink Butterfly” (le donne che, dopo un tumore al seno, pagaiano insieme, in tutto il mondo) l’abbia portata a vivere intensamente come mai prima. Il denominatore comune: lottare per vivere, non sopravvivere. Ritrovando gusto, passione, gioia, e riportando questo sole riassaporato, riconquistato, ritrovato, anche dentro le proprie famiglie («quando si ammala una donna, si ammala – simbolicamente, affettivamente, emotivamente – tutta la famiglia»). E quando una donna ritrova davvero la gioia di vivere, tornano a sorridere tutti coloro che la amano. Come una benedizione che irradia, una grazia leggera, fatta anche di una diversa capacità di valorizzare ciò che conta, e di lasciar andare tutto l’irrilevante della vita: perché le lacrime e le risate condivise uniscono i cuori.
La dottoressa Anna Concetta Pucci Romano, curatrice del libro “Il corpo ritrovato” (Edizioni Minerva Medica, 2012) ha mostrato quanto le cure oncologiche possano devastare la pelle del corpo e del volto. Con foto emblematiche, a volte agghiaccianti, ognuno ha compreso che cosa significhi “effetti collaterali cutanei”. E perché i/le pazienti li temano più di qualsiasi altro effetto negativo: la pelle è la nostra carta d’identità, il nostro biglietto da visita. Se è devastata, come si può affrontare positivamente la malattia? E non conforta sapere che se gli effetti su pelle e capelli sono marcati “vuol dire che la terapia funziona meglio”. Gli effetti ci possono essere, ma è possibile prevenirli, limitarli, curarli, con un accurato controllo dermo-cosmetologico, che dovrebbe essere offerto ad ogni paziente oncologico che abbia effetti collaterali cutanei: per migliorare l’immagine corporea, il volto riflesso nello specchio, l’identità personale altrimenti sfregiata. E per migliorare l’aderenza alle cure: l’8% delle persone rinuncia alla chemioterapia perché non vuole perdere i capelli.
Anche “Mister C.”, il signor cancro, può diventare uno stimolo, doloroso e potente, per trovare un senso della vita più appassionante e appagante di prima. E per gli uomini, come cambia la sessualità dopo un cancro? Ne parliamo presto.
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