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Dopo un tumore al seno: il sogno di un figlio può diventare realtà

Dopo un tumore al seno: il sogno di un figlio può diventare realtà
24/05/2023

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

«Ho 43 anni, e un anno fa mi è stato diagnosticato un cancro al seno. Non tollero più, né fisicamente né psicologicamente, la terapia ormonale antitumore (inibitori dell’attività ovarica e dell’aromatasi). Ho sintomi tremendi: dolori ossei, muscolari e articolari, che mi fanno sentire un’ottuagenaria. E non provo più alcun desiderio. Ma vorrei tanto un figlio: perché per gli oncologi è una questione marginale? Se decidessi di abbandonare il piano terapeutico ci sarebbero strade alternative? E se decidessi di continuare, cosa potrei prendere per ridurre gli effetti collaterali? Grazie».
Ilaria (Milano)
Diagnosi di cancro, effetti collaterali delle cure e rinuncia alla maternità: lo shock è davvero tremendo. Il “da farsi” va valutato con accuratezza sulla singola paziente. In particolare, bisogna analizzare le caratteristiche biologiche del tumore (stadio, differenziazione cellulare, presenza o meno di invasione di vasi sanguigni e/o di linfonodi), l’istotipo (se duttale o lobulare: quest’ultimo può essere multicentrico), la presenza di recettori per gli estrogeni e il progesterone (più sono presenti, più il tumore è ben differenziato, con andamento più benevolo, e più risponde all’ormonoterapia, come quella che lei sta seguendo), la frazione proliferante, ossia la percentuale di cellule in attiva moltiplicazione (più è alta, più il tumore è aggressivo), e così via.
Il problema degli effetti collaterali è molto serio: a seconda degli studi, il 25-50% delle donne in terapia con farmaci inibitori dell’aromatasi abbandona questa terapia proprio per la gravità degli effetti collaterali. Abbandonare il piano terapeutico ha conseguenze diverse, a seconda della situazione della singola donna: può non averne o quasi, quando tutti gli indicatori sono favorevoli e indicano un tumore piccolo, ben differenziato, a bassissima aggressività, che è stato rimosso con l’intervento. O consentire al tumore di progredire aggressivo, se lo stadio è più avanzato, con indicatori sfavorevoli.
Il desiderio di maternità, più struggente dopo la diagnosi di tumore, va valutato secondo le caratteristiche del tumore. Si attende almeno due anni dopo la diagnosi, quando il tumore è al primo stadio (T1) e tutti gli indicatori sono favorevoli. Cinque anni se è un secondo stadio (T2), e/o con indicatori meno favorevoli. L’età materna è un aspetto critico: i 43 anni indicano una ridotta riserva ovarica, con minore fertilità. La crioconservazione per salvare gli ovociti ancora vitali è poco praticabile, perché la riserva ovarica è già ridotta per l’età e soprattutto perché bisognerebbe stimolare le ovaie con alte dosi di ormoni.
L’aspetto positivo è che la gravidanza non cambia la prognosi del tumore. L’attività fisica moderata e quotidiana, meglio se all’aperto al mattino, può alleggerire i sintomi osteomuscolari da farmaci. L’estratto di polline e pistillo può ridurre le vampate. La fisioterapia può rilassare i muscoli contratti per il dolore e per la carenza di estrogeni e testosterone; ossigenoterapia, acido ialuronico e vitamina E possono ridurre la secchezza vaginale e i sintomi sessuali. Auguri di cuore.

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