«E’ cambiato il vento», direbbe Mary Poppins, parlando di bimbi. Negli ultimi decenni è stata molto condannata da pediatri e psicologi la tendenza a lasciar dormire i bambini piccoli nel lettone (“co-sleeping”). Un “esperto” americano, autore di un best-seller, aveva addirittura teorizzato che lasciar piangere i bambini piccoli da soli nel loro letto, finché smettono, li educhi all’autonomia. In realtà li educa alla disperazione, perché se nessuno ti conforta quando sei piccolo e ti senti solo e disperato, l’unica cosa che impari è che non puoi fidarti nemmeno dell’amore dei tuoi genitori. Il bisogno di attaccamento affettivo – il primo bisogno di ogni cucciolo d’uomo –, che è anche la base della sua futura capacità di amare, può essere leso per sempre. Comunque tanta è stata la stigmatizzazione contro il dormire insieme ai piccoli, anche per qualche ora, che i sensi di colpa diventavano persecutori quando poi succedeva. Magari perché il piccolo aveva gli incubi, o perché si svegliava e piangeva venti volte per notte finché la madre, sfinita, cedeva per esaurimento energetico. Non bastassero i sensi di colpa, lo spettro delle morti improvvise nel lettone veniva agitato come l’esito più tragico di questa “arcaica pratica”.
In realtà, l’affermazione con presunzioni scientifiche «dormire nel lettone fa male al bambino» è oggi molto discussa. La voce più autorevole a favore del co-sleeping è di James McKenna, professore di antropologia e direttore del Behavioural Sleep Laboratory (laboratorio del sonno) dell’Università di Notre Dame: «Il far dormire presto i bambini da soli è una regola nata da ideologie culturali che si preoccupano più di ciò che vogliamo che i bambini diventino (autonomi presto) che capire chi sono veramente e di che cosa hanno bisogno».
Parole sante. Basta osservare. Tutti i cuccioli dormono con le loro madri. Perché proprio i nostri, che hanno uno svezzamento lungo e la più lunga fase di dipendenza dalla madre per la loro stessa sopravvivenza, devono esserne separati? Se il bambino fin da piccino è sereno e dorme tranquillo nel suo lettino, perfetto. Ma se è nato con un parto traumatico, ha subito un pesante stress biologico che può causare dolore e maggior bisogno di contatto con la pelle, il calore, il profumo della mamma. E’ un bisogno ancora più forte nei bambini nati prematuri (ma guarda!), o che sono stati in cura intensiva per parti traumatici; nei bambini più fragili, ansiosi o con disturbi precoci del sonno.
E’ un contatto notturno necessario quando la donna riprende presto il lavoro e il bambino è affidato per molte ore ad altre persone di famiglia (la nonna, quando si è molto fortunate), o baby sitter, o asili nido. Il bisogno è meno marcato o quasi assente nei bambini più solidi, nati bene e che hanno la fortuna di stare con la mamma e/o con il papà per diverse ore durante il giorno (usare il marsupio di giorno è un altro balsamo per il piccino!).
Il respiro della mamma (ma anche del papà!) e quello del piccolo si sincronizzano quando dormono insieme. Quella vicinanza è calmante e rassicurante, è un abbraccio che attenua ogni sconforto e ogni solitudine: si diventa più serenamente autonomi e capaci di volare nel mondo quando il bisogno di attaccamento è stato gratificato da piccoli. L’esperienza clinica lo conferma. Il vantaggio del co-sleeping nei primi due anni di vita non è “solo” psicologico, ma anche di salute. Più il bambino (e la mamma) dormono sereni, più quel sonno ristoratore protegge il sistema immunitario: meglio funziona, meno si ammalano.
Il punto non è “allora, tutti nel lettone”, ma un’attenzione e un rispetto maggiori delle diverse situazioni familiari: al centro di ogni decisione non ci deve essere la legge dettata dall’esperto di turno, ma quello che fa stare meglio quel bambino in quella famiglia e in quella fase della vita. Essere flessibili e sensibili, questo è il punto: e nessuno sente i bisogni reali di un bambino più di una mamma e di un papà affettuosi. Si può addormentarlo nel suo lettino con una fiaba e il peluche, ma se poi arriva piangendo a metà della notte, accoglierlo con tenerezza è la scelta di cuore e di maggiore impatto sulla serenità presente e futura del bambino. Tra l’altro, è anche il miglior antidoto contro gli incubi infantili: chi di noi, anche adulto, non vorrebbe sentirsi abbracciato e rassicurato quando si sveglia di soprassalto con un incubo pazzesco?
E i genitori? Possono far l’amore lo stesso, con un po’ di tempismo e fantasia. Tanto più che se il piccino sta nel lettone, il testosterone del papà per un po’ si abbassa: la natura ha già pensato a tutto!
In realtà, l’affermazione con presunzioni scientifiche «dormire nel lettone fa male al bambino» è oggi molto discussa. La voce più autorevole a favore del co-sleeping è di James McKenna, professore di antropologia e direttore del Behavioural Sleep Laboratory (laboratorio del sonno) dell’Università di Notre Dame: «Il far dormire presto i bambini da soli è una regola nata da ideologie culturali che si preoccupano più di ciò che vogliamo che i bambini diventino (autonomi presto) che capire chi sono veramente e di che cosa hanno bisogno».
Parole sante. Basta osservare. Tutti i cuccioli dormono con le loro madri. Perché proprio i nostri, che hanno uno svezzamento lungo e la più lunga fase di dipendenza dalla madre per la loro stessa sopravvivenza, devono esserne separati? Se il bambino fin da piccino è sereno e dorme tranquillo nel suo lettino, perfetto. Ma se è nato con un parto traumatico, ha subito un pesante stress biologico che può causare dolore e maggior bisogno di contatto con la pelle, il calore, il profumo della mamma. E’ un bisogno ancora più forte nei bambini nati prematuri (ma guarda!), o che sono stati in cura intensiva per parti traumatici; nei bambini più fragili, ansiosi o con disturbi precoci del sonno.
E’ un contatto notturno necessario quando la donna riprende presto il lavoro e il bambino è affidato per molte ore ad altre persone di famiglia (la nonna, quando si è molto fortunate), o baby sitter, o asili nido. Il bisogno è meno marcato o quasi assente nei bambini più solidi, nati bene e che hanno la fortuna di stare con la mamma e/o con il papà per diverse ore durante il giorno (usare il marsupio di giorno è un altro balsamo per il piccino!).
Il respiro della mamma (ma anche del papà!) e quello del piccolo si sincronizzano quando dormono insieme. Quella vicinanza è calmante e rassicurante, è un abbraccio che attenua ogni sconforto e ogni solitudine: si diventa più serenamente autonomi e capaci di volare nel mondo quando il bisogno di attaccamento è stato gratificato da piccoli. L’esperienza clinica lo conferma. Il vantaggio del co-sleeping nei primi due anni di vita non è “solo” psicologico, ma anche di salute. Più il bambino (e la mamma) dormono sereni, più quel sonno ristoratore protegge il sistema immunitario: meglio funziona, meno si ammalano.
Il punto non è “allora, tutti nel lettone”, ma un’attenzione e un rispetto maggiori delle diverse situazioni familiari: al centro di ogni decisione non ci deve essere la legge dettata dall’esperto di turno, ma quello che fa stare meglio quel bambino in quella famiglia e in quella fase della vita. Essere flessibili e sensibili, questo è il punto: e nessuno sente i bisogni reali di un bambino più di una mamma e di un papà affettuosi. Si può addormentarlo nel suo lettino con una fiaba e il peluche, ma se poi arriva piangendo a metà della notte, accoglierlo con tenerezza è la scelta di cuore e di maggiore impatto sulla serenità presente e futura del bambino. Tra l’altro, è anche il miglior antidoto contro gli incubi infantili: chi di noi, anche adulto, non vorrebbe sentirsi abbracciato e rassicurato quando si sveglia di soprassalto con un incubo pazzesco?
E i genitori? Possono far l’amore lo stesso, con un po’ di tempismo e fantasia. Tanto più che se il piccino sta nel lettone, il testosterone del papà per un po’ si abbassa: la natura ha già pensato a tutto!
Amore e relazioni affettive Attaccamento affettivo Bambini Co-sleeping Genitori e figli Riflessioni di vita Sonno e disturbi del sonno