Sul tema droghe l’espressione “modica dose” va bandita. Per due ragioni: fa credere ai giovani che la droga, qualsiasi droga, possa essere innocua e che la tossicità sia “solo” questione di quantità. L’uso banalizzato è intanto diventato epidemico. E consente agli spacciatori, ben attenti a tenersi in tasca solo la “modica dose” legalmente consentita, di girare indisturbati. E, se fermati, di ri-uscire in libertà la sera stessa, per tornare a spacciare le cento altre dosi nascoste nei cespugli dei parchi o nei cassonetti.
Il termine “modica” è così insidioso da essere ipnotico. Tranquillizza tutti, perché il concetto di “modus”, di moderazione, è stratificato da millenni nel nostro cervello profondo come termine positivo, che evoca innocuità, ragionevolezza e perfino sano autocontrollo. Peccato che si stia parlando di droghe e non di virtuosismi etici e comportamentali. Il fatto che il concetto di modica dose abbia valenza penale, e non biologica, non è percepito.
Certo che la quantità conta, per l’ovvia ragione che con il crescere della dose ne aumentano l’impatto e gli effetti collaterali. Tuttavia la tossicità di una droga dipende da molte altre variabili. Le più potenti includono il tipo di droga e il suo meccanismo d’azione; la vulnerabilità delle aree del cervello in cui agisce; l’età del soggetto; il fatto che sia pura o potenziata dall’alcol o da altre sostanze. Per esempio. il lobo frontale, che modula, fra l’altro, la capacità di controllare gli impulsi, e la loro potenziale distruttività, matura oggi con sei-otto anni di ritardo rispetto a sessant’anni fa. Una droga come la coca accentua l’impulsività e il sistema dopaminergico che la sottende, ancor più in un adolescente a cui il testosterone mette l’impulsività a mille. E’ come dare una frustata da terra a un cavallo giovane e ardente in campo aperto: scappa via e non lo riprendi più.
La vulnerabilità individuale è massima nei giovani perché il loro sistema nervoso è ipersensibile all’effetto “piacere e ricompensa” stimolato dalle droghe: è questo che porta poi a ricercarle, con una dipendenza prima psichica e poi biologica. Un ragazzo ansioso, invece, che ha bisogno di farsi accettare dal gruppo, si sente meglio se si fa una canna e/o se beve: per il loro effetto ansiolitico nel breve termine. Nel medio-lungo termine i circuiti neurobiologici dell’ansia diventano ancora più sregolati: con deficit di attenzione e di apprendimento, da un lato, e aumento degli attacchi di panico, più difficili da curare anche con farmaci specifici, dall’altro. Più il cervello è giovane, più ne risente: a livello del sistema neurovegetativo, che regola tutti i bioritmi, tra cui il bioritmo del sonno, grande custode della salute, e della capacità di concentrarsi, di ascoltare con attenzione e di memorizzare a lungo termine. Quando il sonno è disturbato o ridotto, addio a studio e profitto scolastico, ma anche ai risultati sportivi. A livello del sistema limbico, con terremoti emozionali e, nelle ragazze, con peggioramento della sindrome premestruale, dell’irritabilità, dell’aggressività. E del bullismo, in entrambi i sessi. A livello motorio, vengono alterati i movimenti fini, la reattività autoprotettiva, aumentano le distrazioni e gli incidenti. A livello cognitivo, delle funzioni mentali superiori, i danni sono ancora più inquietanti: possibile che nessuno si preoccupi del fatto che un cervello minato ha perso la capacità di far esprimere i talenti?
La soluzione a quest’epidemia di drogati a vari livelli di gravità non è (solo) potenziare i centri di disintossicazione e le comunità. E’ agire prima che il danno succeda. E’ prevenire. Cominciando dalla tolleranza zero a droghe e alcol, almeno ai minori di 18 anni. Il danno biologico alle cellule nervose concorre al fallimento esistenziale. Visione pessimista? No, onesto pragmatismo. Basta alla “modica dose”: uniamo le forze, per non piangere poi su migliaia di figli falliti. E perduti.
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