Ogni bambino intelligente è curioso e motivato a scoprire il mondo. E’ geneticamente programmato per desiderare e volere, d’accordo. Tuttavia, se vogliamo che cresca sereno, assertivo e mentalmente sano, dovremmo insegnargli presto alcuni aspetti fondamentali della vita. Per esempio, che l’“erba voglio” non cresce nemmeno nel giardino del re, come ci insegnavano le nonne di una volta; che le paroline magiche «per favore» e «grazie mille», soprattutto se accompagnate da un tono di voce garbato e da un sorriso gentile, predispongono gli altri a sorridere e a interagire positivamente con noi; che il «no, non è possibile» oppure «mi dispiace, ma ora non si può fare» fanno parte dei necessari e ineludibili semafori rossi che la vita ci pone. Imparare a comprenderli e ad accettarli è parte essenziale di quel codice di vita personale e sociale che ci allena a confrontarci costruttivamente con i limiti. Certo, il “no” va motivato e spiegato, con dolce fermezza. Dopo di che, se il bambino continua a urlare e strepitare gli si dirà con tono calmo e definitivo che quello è il modo sicuro per non ottenere più nulla. Punto. E che, anzi, invece di esaurirsi in capricci devastanti, dovrebbe cercare di trovare una soluzione diversa, un gioco alternativo, un altro modo per essere ugualmente felice.
«Ma cosa vuoi che capisca a tre anni!», dirà qualcuno. I bambini capiscono molto, e molto prima di quanto si creda. Tanto vero che riescono a manipolare la volontà degli adulti in modo sorprendente. «Ogni impedimento è giovamento», dice un proverbio. Vero, se l’impedimento ci porta a riflettere, a riconsiderare quello che si voleva fare, a trovare soluzioni alternative, a non assecondare (troppo) l’impulsività o l’entusiasmo. Utile, se ci stimola a organizzare meglio il progetto o il percorso, reale o metaforico che sia. Prezioso, perché mentre cerchiamo una soluzione diversa, il cervello impara una strategia fondamentale: a posticipare l’appagamento immediato di un desiderio, a rinunciare a un piccolo o grande piacere oggi per ottenere qualcosa di più gratificante domani.
Una ricerca suggestiva condotta su un gruppo di bambini di quattro anni, seguiti poi per i trent’anni successivi, ha dimostrato una cosa molto interessante. Ai piccoli è stata data una caramella, dicendo: non mangiatela ora, ma tra dieci minuti. I bambini hanno avuto due risposte: alcuni l’hanno mangiata subito, altri hanno saputo aspettare. Bene: quelli che hanno aspettato hanno avuto molti più risultati positivi (“più successo”) nella vita personale (studio, sport, lavoro, hobby) e sociale dei bimbi che l’avevano mangiata subito. In altri termini, la capacità di accettare i no, il non ora, le piccole e grandi “frustrazioni ottimali” (utili perché ci fanno crescere) ci allena a negoziare meglio la realizzazione dei nostri desideri e progetti.
La questione è seria e pervadente. La crescente attitudine genitoriale nei Paesi ad alto reddito a gratificare immediatamente ogni desiderio di un bambino («Tanto poi ci penserà la vita a dirgli di no») ha avuto come risultato un progressivo rallentamento nella maturazione del lobo frontale che governa l’impulsività e aiuta a negoziare e accettare regole e limiti. Oggi questa parte del cervello, così fondamentale anche per non rischiare la vita e la salute con comportamenti potenzialmente autolesivi o suicidi, matura mediamente a 24 anni per le ragazze e a 28 per i maschi: ampiamente dopo la cosiddetta maggiore età, collocata a 18. Dire sempre di sì a un bambino non è un gesto d’amore. E’ venir meno al ruolo genitoriale. Che è di amare sì, ma aiutando il bambino a capire che anche il no, motivato, è un gesto d’amore. A volte difficile, meno comodo del sì, ma molto più attento al suo bene e al suo futuro.
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