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Educhiamo i ragazzi alla responsabilità

30/01/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Che cosa significa compiere 14 anni, dal punto di vista della responsabilità? Della responsabilità verso se stessi e verso gli altri, intendo. Una riflessione, a scuola e a casa, su che cosa significhino determinati compleanni speciali è essenziale per aiutare i nostri ragazzi a maturare una consapevolezza di sé, anche in senso civico, che oggi è troppo spesso latitante. Cresciuti nel limbo dell’irresponsabilità fin da piccini, i nostri ragazzi pensano, a torto, che l’essere “minorenne” costituisca una sorta di zona franca, di salvacondotto, che dura magicamente fino al compimento del diciottesimo compleanno, e li protegge da qualsiasi conseguenza di un loro agire inappropriato o illecito. “Che mi possono fare?”, questa è la convinzione. Attenzione: non è così.
Già a 14 anni c’è il primo grande passaggio dall’irresponsabilità del bambino alla responsabilità dell’adolescente. Per esempio, il ragazzo o la ragazza, che compiano atti illeciti, cominciano a risponderne personalmente davanti alla società, già dai 14 anni. Il furto, lo spaccio di droga, gli atti di vandalismo, anche durante le partite di calcio, ma anche il bullismo, ossia l’aggressione verbale o fisica nei confronti di coetanei, il mancato rispetto del codice della strada, fino a atti più gravi, comportano che lo stesso minore sia chiamato in giudizio. Certo, l’eventuale violazione sarà giudicata da un giudice specializzato, il Tribunale dei Minori. Ma questo non significa garanzia di impunità, o di probabilità di “farla franca”, bensì possibilità di essere giudicati con una maggiore considerazione per gli aspetti caratteriali – quali l’impulsività, o la limitata capacità di comprendere le conseguenze di un dato comportamento – legati alla minore età. Nel contesto di questa limitata capacità di percepire il limite e il senso delle regole sociali, sfortunatamente, i ragazzi sono indotti a una sorta di “autolegittimazione” dei comportamenti trasgressivi o devianti, a causa di due grandi cambiamenti contemporanei. Innanzitutto la “deriva delle norme”, ossia la progressiva banalizzazione di regole millenarie quali il non rubare, per esempio, il non tradire, o il rispettare e onorare i genitori. E, non secondo, la latitanza educativa dei genitori in senso normativo, ossia nella capacità e volontà di dare delle regole e saperle far rispettare, anche all’interno della famiglia e nel piccolo mondo delle relazioni affettive. E’ difficile che un ragazzo rispetti le norme nel macrocosmo sociale, se a casa non ha orari, ha un linguaggio aggressivo e violento, non è stato educato ad assolvere i piccoli e grandi doveri proporzionati all’età, tra cui lo studio, o il contribuire all’andamento della famiglia con i piccoli aiuti pratici, come il tenere in ordine le proprie cose, che ogni bambino o adolescente può dare. Ecco perché il compiere i quattordici anni non è solo un fatto anagrafico: è un passaggio che è anche un giudizio di valore non solo sull’adolescente ma anche sulla qualità dei genitori che ha avuto.
In ogni caso, anche qualora dal giudizio del Tribunale dei Minori consegua una condanna lieve o un perdono, le tracce del misfatto restano tuttavia nella fedina penale. Non nel certificato richiedibile da privati, ma nel dossier personale a disposizione dell’Autorità giudiziaria e della Polizia.
Resta un’ombra, dunque, nella storia personale, una traccia non più cancellabile, anche dopo le cosiddette “ragazzate”, che poi tali non sono.
E’ precisa responsabilità di noi adulti educare i nostri figli, progressivamente ma fin da piccoli, a una graduale assunzione di responsabilità nei confronti del proprio comportamento, verso se stessi e verso gli altri. Per non lasciarli soli, di fatto, di fronte alle conseguenze delle loro azioni.
Educarli alla responsabilità implica trasmettere la conoscenza delle regole elementari del vivere civile e il loro rispetto, la capacità di comprendere che ogni comportamento può avere conseguenze drammatiche, a breve e lungo termine, per sé e/o per gli altri, anche quando non si rispetti il semplice codice della strada.
Educare alla responsabilità significa anche incoraggiarli a mettersi nei panni degli altri: principio base dell’etica sociale laica, oltre che confessionale. E’ solo immedesimandosi nei sentimenti dell’altro che il bambino prima, e il ragazzo poi, impareranno a modulare la propria aggressività, la tendenza alla prevaricazione, al bullismo, all’impulsività altrimenti incontrollata, alla trasgressione solo per guadagnarsi la “stima” del gruppo.
In un’educazione sana, non ci dovrebbe nemmeno essere il deterrente della paura di incorrere nelle sanzioni previste dalla legge. E tuttavia, dato il lassismo etico contemporaneo, è bene che i giovani sappiano che l’essere minorenne comporta comunque precise responsabilità. Saperlo, facendoli riflettere su casi concreti, può aiutarli a mettere a fuoco il senso del proprio esistere in una società, sì, lassista, e con una giustizia tardiva, ma che arriva comunque e non dimentica. E i “piccoli” precedenti possono diventare macigni sulla storia futura.

Adolescenti e giovani Bullismo e cyberbullismo Educazione

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