Un interessante articolo di due ricercatori dell’Università del Michigan (Thomas L. Rodziewicz e John E. Hipskind, Medical error prevention, StatPearls, 2020) aiuta a cogliere alcuni dei più rilevanti fattori in gioco. La prima difficoltà sta nella stessa definizione di “errore medico”: che cos’è, in che cosa consiste un errore medico? La definizione scientifica è difficile, sia esso un errore attivo, per esempio un intervento “sbagliato”, o un errore di omissione, per esempio non diagnosticare tempestivamente un infarto in una donna che di conseguenza ne muore. In ospedale, gli errori sono in maggioranza attivi, da errori chirurgici; sul territorio, da omissione, per ritardo diagnostico.
A causa di definizioni poco chiare, gli “errori medici” sono difficili da misurare, e quindi da quantizzare in modo obiettivo. E’ oggi considerato errore l’evento avverso prevenibile: questo è il punto chiave. Il primo obiettivo è che l’analisi degli errori e la loro pragmatica correzione serva a ridurli, riconoscendoli come sfide che devono essere superate. Le strutture ospedaliere e gli operatori sanitari dovrebbero impegnarsi per rendere il percorso di salute più sicuro sia per i pazienti, sia per se stessi, in quanto operatori sanitari. L’alto numero di medici, infermieri, e personale ausiliario che è morto per un Covid-19 contratto in ospedale dimostra quanto questo principio sia stato disatteso. Riconoscere l’errore è difficile per il medico: per il senso di fallimento che comporta, per la paura delle conseguenze legali, economiche, professionali, per il crescere vertiginoso dei costi assicurativi. Questo può portare a non riportare gli errori, cronicizzandoli.
L’aggressività sociale contro i medici quando sbagliano, sostengono gli Autori, non considera che alcuni errori non sono prevenibili; che spesso sono multifattoriali; che il fattore umano conta. Negli Stati Uniti, per ridurre gli errori, la Joint Commission Patient Safety Goals identifica due strategie: rendere più stringente il controllo delle procedure mediche in ogni passaggio, e modificare la cultura del silenzio, del non riportare l’errore, che aumenta la probabilità di ripeterlo, con più rischi per i pazienti. Parte della soluzione, sostengono gli Autori, sta nel mantenere una cultura che lavori per riconoscere la sfide della medicina d’oggi sulla sicurezza dei malati e aumenti la ricerca di soluzioni pragmatiche e praticabili, invece che ospitare e coltivare la cultura del rimprovero, della vergogna e della punizione.
Da medico, due mi sembrano i punti critici: migliorare la formazione dei medici, fin dal corso di laurea, in una professione complessa e difficile, ancorché appassionante, che richiede una dedizione superiore alle altre. E mantenere vivo il senso etico di porre il bene del paziente al di sopra di tutto, in un mondo in cui l’etica professionale è in crisi, su troppi fronti.
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