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Fallimenti annunciati

18/02/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Il 30 per cento dei ragazzi iscritti al primo anno delle superiori sarà bocciato o abbandonerà comunque la scuola. Una strage di potenzialità. E un potente fattore di rischio per derive sociale, devianze, solitudini, depressioni e tendenze autodistruttive. Come arginare un fenomeno negativo che vede poi il 21, 9 per cento dei nostri ragazzi tra i 18 e i 24 anni senza un diploma superiore e senza nessuna educazione e formazione? “Early school leavers”, ragazzi che hanno abbandonato la scuola precocemente, e che si ritrovano senza un’identità, senza un ruolo professionale, senza un minimo di sapere con cui cercare un lavoro degno del nome. Il dato inquieta ancora di più se ci paragoniamo al resto d’Europa, in cui i ragazzi nella stessa situazione sono il 14% in Gran Bretagna, il 12,6% in Francia e il 12,1% in Germania. In Italia, l’abbandono della scuola è massimo al Sud, con il record negativo in Calabria.
Come evitare che nostro figlio, o nostra figlia, facciano parte di questo esercito di ragazzi frustrati, emarginati sociali, falliti in pectore, che mancano di abilità sostanziali per inserirsi positivamente nella società? E che non hanno nemmeno la possibilità di imparare bene un lavoro artigianale, se avessero una vocazione pratica, in sé ottima e utile, data la crisi drammatica degli istituti professionali?
Il fallimento viene da lontano, per una latitanza educativa che coinvolge in primis i genitori e le famiglie di origine, in secundis la scuola. Analfabeti, incapaci di leggere e scrivere appena decentemente, di riassumere concisamente e appropriatamente un testo, di fare due calcoli elementari senza la calcolatrice, i ragazzi non superano gli standard minimi richiesti in un istituto superiore.
Per far sì che i figli crescano preparati, sicuri delle proprie possibilità, competenti, capaci di affrontare le oggi minime difficoltà che la scuola pone, e domani le difficoltà della vita, è necessario seguire alcune regole antiche, oggi dimenticate. Innanzitutto, parlando con il bambino in modo accurato, fin da piccolo, possibilmente in italiano, oltre che in dialetto, se quest’ultimo piace per amor di tradizione. Il bambino ha una straordinaria recettività: per imitazione, è in grado di formulare concetti complessi e sorprendenti, divertendosi, soprattutto se coglie nell’adulto un ascolto attento e gratificante. Nello stesso tempo, va corretto amorevolmente quando la parola o la frase sono inesatti, come se fosse un gioco di precisione, non un rimprovero: leggendo insieme le fiabe, e poi i giornali, almeno i titoli, fin da piccoli. Abituandoli a leggere a voce alta storie diverse. Il bambino impara a sillabare correttamente, ad ascoltarsi mentre legge e ripete a voce alta la storia con le sue parole. Questo esercizio apparentemente semplice, comporta uno straordinario allenamento cerebrale: a “vedere” e saper riconoscere le lettere; a pronunciarle correttamente; a memorizzare visivamente la grafia esatta, in parallelo al suono adeguato. Questo esercizio – soprattutto il ripetere a voce alta con parole proprie, mentre un adulto lo ascolta affettuosamente – aumenta nel bambino anche l’autostima, la fiducia in sé, la capacità di ricostruire un concetto, mentre le sue capacità si affinano grazie alle correzioni attente dell’adulto. E’ utile insegnargli a contare e fare le operazioni più semplici, senza calcolatrice. Cercando sempre di educare al rispetto, alla correttezza, all’empatia, cominciando con il buon esempio all’interno della coppia. Successivamente è necessario dedicare almeno un’ora al giorno a seguire il bambino nei compiti: tanto meglio se la mamma lo segue per l’italiano o la storia, e il papà per la matematica o la geografia. Seguire non significa “fare al posto di” per finire prima, ma semplicemente supervisionare il lavoro del bambino con affetto e fermezza. Se i genitori non possono, perché lavorano, benissimo se lo fanno i nonni, con quotidiana costanza. Durante i compiti pomeridiani, cellulari rigorosamente chiusi, senza eccezioni. Benissimo anche tutto quello che aumenta la capacità di osservazione del bambino, con declinazioni diverse a seconda delle sue passioni personali e degli svaghi preferiti in famiglia: dal riconoscere fiori o piante o animali, al linguaggio appropriato di uno sport che appassiona; oppure sarebbe perfetto incoraggiare a suonare uno strumento musicale o a cantare, cosa oggi purtroppo rara in Italia. Attenzione al sonno, che deve essere garantito e rispettato per almeno otto ore per notte, fino ai 18 anni. Carenza di sonno significa infatti perdita di attenzione e di concentrazione e minore memorizzazione: senza attenzione e senza memoria non ci può essere apprendimento.
Sì allo sport, per maschi e femmine, perché aiuta a vivere il corpo attivamente, a coordinare mente e obiettivi, ad apprendere e rispettare le regole del gioco, ad allenarsi con costanza, ad avere amicizie sane, oltre a scaricare in modo naturale tensioni e aggressività. L’antico “mens sana in corpore sano” riconosce la critica importanza del movimento fisico e di sani stili di vita, fin da piccoli, ancor di più oggi in cui i bambini stanno (rin)chiusi in spazi sempre più piccoli, a casa, a scuola e in auto. Per il cibo, pochissimi cibi conservati, perché contengono sostanze che aumentano i neurotrasmettitori di tipo eccitatorio che a loro volta aumentano l’iperattività, l’aggressività, la difficoltà a concentrarsi dei nostri figli. No autorevole e senza eccezioni a fumo, alcool o droghe, incluse le droghe cosiddette “leggere”. Insomma, una sana disciplina della vita quotidiana, senza la quale non è possibile fare proprie quelle regole interiori del buon vivere, con serenità e con gioia, che sono poi la premessa per apprendere bene, rapidamente e con soddisfazione.
Poi, fondamentale, è che i genitori abbiano un rapporto di rispetto e collaborazione con gli insegnanti, con l’obiettivo comune di sviluppare al meglio i talenti di ogni singolo studente, di ogni figlio. L’attuale atteggiamento di aggressività sistematica e aprioristica, per cui l’insegnante sbaglia sempre (o “è un cretino”, quando non peggio) e il ragazzo ha sempre e comunque ragione, distorce completamente il senso della correttezza, dell’assunzione di responsabilità, del rispetto delle regole e dell’autorità. Qualche insegnante non sarà all’altezza, ma l’aggressività contemporanea contro maestri e professori è assolutamente eccessiva e distruttiva, anche per i figli. Soprattutto, è pericolosa per il modo con cui i ragazzi vedono protetti tutti i loro errori, le loro intemperanze, il loro stesso bullismo. Nello stesso tempo, non bisogna incoraggiare il “passare” con il minimo del profitto, tanto per andare all’anno successivo, a giugno o a settembre che sia. Tutti i nodi vengono poi al pettine al primo anno delle superiori e poi nella vita. Quando sarà difficile recuperare tutti gli apprendimenti perduti, la mancanza di metodo e di disciplina, quando l’arroganza è alle stelle e la seduzione di un’identità negativa diventa più attraente di quella di riuscire a scuola. Un figlio ben preparato, nella scuola, nello sport e nella vita, saprà comunque costruirsi un futuro di grande qualità, anche in questo mondo cinico di raccomandati, perché sa camminare solido e deciso, sa pensare e sa parlare.

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