“Ho riflettuto molto in questi giorni, in cui tutti si augurano felicità. Per me il 2005 è stato un anno infernale. Sono stata operata di un tumore al collo dell’utero molto aggressivo, causato dal Papillomavirus. Ho dovuto fare la radioterapia, e comincio a riprendermi ora, dopo 8 mesi di cure intensive. Per fortuna mi sono sentita ben seguita, soprattutto dall’oncologa che si è presa a cuore il mio caso. A 35 anni non è facile accettare di avere un cancro, di dover fare cure che ti distruggono, anche se “per il tuo bene”, e ritrovarsi in menopausa. Famiglia e amici mi sono stati vicini, e non è poco. Eppure è tanto dura. Ero single, quando mi è stato diagnosticato il cancro. Un controllo ginecologico, che per la verità non facevo da qualche anno, e questa tegola in testa. Mi sembra di essere stata derubata di tutta la felicità che ancora avrei potuto avere. Potrò ancora far l’amore come una donna normale? So che lei lavora molto per la qualità della vita dopo il cancro. Questo le chiedo: secondo lei si può essere (ancora) felici dopo una malattia grave?”
L.C.
L.C.
Forse sì, gentile amica. Dico “forse” con umiltà, perché la vita è misteriosa e non abbiamo risposte certe per le domande che vanno al cuore dell’esistenza. Lo dico anche con un sentimento di speranza, e un augurio di cuore per lei, perché nel mio lavoro di ginecologa-oncologa ho imparato molto dalle donne che seguo. E che cerco di aiutare a recuperare una sessualità felice, anche dopo la profonda ferita causata da una malattia come la sua. Ho imparato che, con coraggio, è possibile superare le difficoltà e sofferenze causate da un tumore, oggi ben curabile. E che si può arrivare a un livello di consapevolezza interiore e, sì, perfino di felicità, più alto. Anche grazie a incontri, d’amicizia o d’amore, che possono dare una svolta di positività a una vita che sembrava segnata solo dal dolore.
Felicità e malattia non sono incompatibili?
A prima vista, malattia e felicità sembrerebbero l’una la negazione dell’altra. Eppure, oggi credo che la felicità non sia incompatibile con la sofferenza, né con la malattia, anche grave, se per felicità si intenda la capacità di trovare un significato, una soddisfazione nel compimento di sé, ogni giorno. Qui sta il punto. Lo suggerisce bene la radice della parola felicità che mi piace ricordare, perché è davvero speciale. Nell’origine latina, infatti felice(m) è assimilato a fecundus, che significa “fertile, nutriente”. In senso profondo, allora, forse la malattia può “nutrire”, o far crescere in noi, un atteggiamento interiore che renda ancora possibile quella magìa interiore che chiamiamo felicità... In altre parole, come la malattia può essere compatibile con il benessere interiore (nel senso che possono contenersi a vicenda), così il dolore e la sofferenza possono essere compatibili con la felicità, purché nella propria educazione e nei propri pensieri si sia integrato il fatto che nella vita, nella condizione umana, c’è un ineludibile spazio per il soffrire. Anche se la cultura contemporanea tende a negarlo.
La malattia può "insegnarci" qualcosa?
Sì, anche se in modo duro, perché la malattia risveglia dalle cose ovvie, altrimenti indiscusse. Questo sosteneva il filosofo Karl Jaspers, che, colpito da una malattia grave, ha scritto pagine di rara bellezza proprio su questo difficile aspetto dell’esistenza.
Cosa significa che la malattia "risveglia dalle cose ovvie"?
Significa che con uno scossone ci risveglia dal sonno dell’anima, in cui noi sani diamo tutto per scontato. La malattia ci incoraggia ad accorgerci della magìa di ogni giorno (certo, purché non ci siano il dolore o altri sintomi invalidanti). Ci stimola a riassaporare le piccole cose che diventano improvvisamente preziose quando siamo malati e ci rendiamo conto di averle quasi perdute: un buon sonno ristoratore, una digestione non faticosa, la possibilità di camminare da soli, l’abbraccio di un figlio, un dialogo ritrovato con la propria compagna, un fiore sbocciato sul balcone, una giornata di sole. La malattia può stimolarci a togliere le lenti grigie, così frequenti in chi è sano, per cui tutto ciò che sembra garantito – anche la salute e il benessere – ci diventa indifferente. E ci aiuta a riassaporare i momenti di tregua dalla malattia come “rimbalzi” di felicità.
Cosa si può apprendere da chi, malato, sa ancora sorridere alla vita?
Un insegnamento prezioso: che è possibile, anche nella malattia, coltivare un modo più consapevole, sottile e affettuoso di vedere e interpretare la realtà. Cogliendone gli aspetti emozionanti, spirituali e poetici, toccanti o divertenti. Aprendo così le porte a incontri e momenti positivi che non si sarebbero realizzati se l’anima fosse rimasta intrappolata nelle paludi sfiduciate del pessimismo e della depressione. Tanto più perché il suo è un tumore da cui oggi si può guarire bene. Sì, credo e le auguro di essere ancora felice, con la curiosità affettuosa e struggente di chi, proprio nei giorni più bui, ha (ri)scoperto di amare profondamente la vita, e i suoi raggi di sole.
Approfondimento – Cosa si può fare per recuperare energia e sessualità dopo un tumore all'utero?
Come medico, credo fortemente all’importanza di aiutare il corpo a riprendersi, agendo a livello sia fisico, sia psichico. I farmaci, usati bene, e la riabilitazione possono essere alleati preziosi. In particolare sono utili:
- un modulatore dell’umore, perché può aiutare a recuperare una maggiore serenità e fiducia nel futuro. L’antidepressivo non cambia i problemi, ma aumenta la nostra capacità di affrontarli in modo costruttivo e positivo;
- integratori (aminoacidi come la adeno-metionina, e la carnitina; sali minerali come il magnesio; e vitamine, specialmente se la alimentazione è stata ridotta per gli effetti negativi di chemio o radioterapia) perché sono mattoni che l’organismo utilizza per recuperare le forze e riarmare l’esercito – il nostro sistema immunitario – in genere decimato anche dalle cure;
- una terapia ormonale sostitutiva, sia generale, sia vaginale, fatta su misura per le donne in giovane età, proprio come un vestito. Terapia possibile perché il tumore causato dal Papillomavirus non è dipendente dagli ormoni, che possono essere quindi assunti in piena sicurezza. Gli ormoni sessuali, amici delle donne, le aiutano sia a recuperare energia e un umore più sorridente, sia a ritrovare il desiderio e una migliore risposta sessuale;
- una terapia riabilitativa sessuologica, con automassaggio o fisioterapia specifica, perché mantiene elastici i tessuti genitali e conserva la sensibilità e la lunghezza vaginale, nonostante la radioterapia;
- una graduale ripresa del movimento fisico, all’aria aperta, per ridare fiducia anche al corpo e riascoltare la sua musica;
- una psicoterapia, se si ha bisogno di “dare parole al dolore”, per alleggerire il cuore e tornare finalmente a sorridere.
- un modulatore dell’umore, perché può aiutare a recuperare una maggiore serenità e fiducia nel futuro. L’antidepressivo non cambia i problemi, ma aumenta la nostra capacità di affrontarli in modo costruttivo e positivo;
- integratori (aminoacidi come la adeno-metionina, e la carnitina; sali minerali come il magnesio; e vitamine, specialmente se la alimentazione è stata ridotta per gli effetti negativi di chemio o radioterapia) perché sono mattoni che l’organismo utilizza per recuperare le forze e riarmare l’esercito – il nostro sistema immunitario – in genere decimato anche dalle cure;
- una terapia ormonale sostitutiva, sia generale, sia vaginale, fatta su misura per le donne in giovane età, proprio come un vestito. Terapia possibile perché il tumore causato dal Papillomavirus non è dipendente dagli ormoni, che possono essere quindi assunti in piena sicurezza. Gli ormoni sessuali, amici delle donne, le aiutano sia a recuperare energia e un umore più sorridente, sia a ritrovare il desiderio e una migliore risposta sessuale;
- una terapia riabilitativa sessuologica, con automassaggio o fisioterapia specifica, perché mantiene elastici i tessuti genitali e conserva la sensibilità e la lunghezza vaginale, nonostante la radioterapia;
- una graduale ripresa del movimento fisico, all’aria aperta, per ridare fiducia anche al corpo e riascoltare la sua musica;
- una psicoterapia, se si ha bisogno di “dare parole al dolore”, per alleggerire il cuore e tornare finalmente a sorridere.