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Figli che sorridono alla vita: la serenità nasce sin dal concepimento

Figli che sorridono alla vita: la serenità nasce sin dal concepimento
22/07/2024

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Che cosa rende un figlio sereno e sorridente verso la vita? Che cosa lo fa sentire amato? Che cosa gli dà quella fiducia in sé stesso, misteriosa e potente, che lo rende aperto e curioso, capace di mettersi alla prova con gusto, e di accettare sfide e sconfitte, con grinta e coraggio?
Da medico, incoraggio a valutare, già da prima del concepimento, i fattori biologici che condizionano la salute fisica ed emotiva del piccolo, che sarà poi forgiata, bene o male, dagli stili educativi post-natali. I nove mesi della gravidanza scrivono i primi fotogrammi, e il primo copione, di un film della vita più o meno felice, o drammatico. Una gravidanza serena e in salute è già un’ottima partenza: tutto il dialogo silenzioso tra mamma e feto, biochimico ed emotivo-affettivo, scrive le prime pagine del libro della vita con parole e colori diversi. Ecco perché i genitori dovrebbero prepararsi bene alla gravidanza e proteggerla con rispetto (zero alcol, fumo e droghe!), e i medici seguirla con rigorosa competenza clinica.
Già dalla quinta settimana il feto manda le sue cellule staminali in tutto il corpo della mamma, e in particolare nel lobo limbico, la parte del cervello che governa la vita affettiva. Struttura così le fondamenta di un profondo amore reciproco, primo paradigma d’amore nella vita e base sicura per la felicità. Se il futuro papà accarezza la mamma e l’abbraccia con tenerezza, se le parla con dolcezza, l’ossitocina che si alza e scorre nel sangue della donna attraversa la placenta e arriva al piccolo: il cervello fetale è molto permeabile all’ossitocina e ne fa tesoro, scrivendo con lettere d’oro chi sono le persone che gli vogliono bene e lo renderanno felice. Ancor più dal settimo mese in poi, quando il piccolo è già in grado di sentire le voci che lo circondano, il loro tono emotivo e l’effetto biochimico che fanno sulla mamma: se la stressano, e il cortisolo, ormone dello stress, fa contrarre i vasi sanguigni e la muscolatura dell’utero, stressano anche il feto, scrivendo le prime parole d’allarme e d’ansia sul suo corpo e sul suo cervello.
Se il piccolo nasce a termine con un bel parto naturale, ben seguito da un’ostetrica competente, altri fotogrammi di luce si aggiungono al primo tempo del film della vita, che giustamente ha nei primi mille giorni (dal concepimento ai due anni) una fase cruciale. Se poi nasce “con la camicia”, ossia con il sacco amniotico integro fino al momento dell’uscita della testolina, perché si è avuta l’intelligenza clinica di non accelerare inutilmente il travaglio con l’ossitocina in flebo e/o con la rottura indotta del sacco (“amniorexi”), sarà, per esperienza millenaria, un bambino fortunato perché è nato benissimo, senza il minimo trauma ostetrico. La prematurità, di converso, pone serie ipoteche sul potenziale della felicità futura del piccolo, tanto più serie quanto più è anticipata e/o il bimbo ha alla nascita un peso inferiore a 1500 grammi.
Stress biologico, infiammazione, dolore e rischio di danni neurologici permanenti dipendono anzitutto dalle cause della prematurità (infettive, vascolari, dismetaboliche, traumatiche, placentari) e dalla gravità della sofferenza fetale prima e durante il parto. Le unità di cura intensiva, necessarie per far sopravvivere il piccolo, presentano altri fattori di vulnerabilità: la separazione dalla mamma, trauma critico; il numero di manovre dolorose che vengono fatte ogni giorno (e finalmente si è capito che il prematuro serba memoria di tutto, altro che non sentire o non ricordare il dolore!); la solitudine in un ambiente ostile per il piccolo, fatto di luci, di suoni pulsanti e disturbanti, di un senso di abbandono senza conforto che può scrivere ferite profonde sulla fiducia di poter amare ed essere amato, causando nuclei depressivi anche molto gravi.
In positivo, studi storici avevano dimostrato che le carezze al prematuro, fatte per un tempo preciso più volte al giorno, acceleravano la maturazione polmonare del piccolo e la capacità di respirare autonomamente: «Accarezzami, maturerò». Studi recenti hanno provato che la voce della mamma riduce significativamente la sensibilità al dolore del prematuro quando lo si sottoponga a manovre come iniezioni, cateterismi, sondini e così via. Più di 15 milioni l’anno di prematuri, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), meritano più attenzione.
E dopo la nascita? La ripresa precoce del lavoro, dopo tre mesi dal parto, in voga negli USA, è un errore clamoroso dal punto di vista della salute fisica e mentale del piccolo. Molto meglio la legislazione italiana, fra le migliori al mondo. Purché ci sia interazione affettuosa, dialogo e gioco con il piccolo, e la donna non passi la giornata a mandare like e messaggi; purché il padre condivida le cure. E purché lo smartphone non venga usato come baby-sitter fin dai primi mesi di vita. Ne riparleremo.

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