I graffiti che vandalizzano i muri delle nostre città sono solo brutti e deturpanti o sono spia di più gravi rischi sociali? Quanto pesa il degrado visibile di un quartiere nel tirar fuori il peggio dei suoi abitanti? James Q. Wilson e George Kelling, criminologi americani, autori della “teoria dei vetri infranti”, hanno analizzato la potenza maligna dei contesti degradati nel portare gli umani a esprimere il peggio di sé.
Carattere, educazione, famiglia contano sì, ma il contesto, reale e virtuale, in cui viviamo è molto più potente nel condizionare i nostri comportamenti. Wilson e Kelling sostengono che il crimine è l’inevitabile conseguenza del disordine. Se una finestra è infranta e non viene riparata, le persone pensano che nessuno se ne cura e che nessuno è responsabile di ripararla. Altre finestre verranno infrante, e un senso progressivo di anarchia si impadronirà di quella strada, di quel quartiere. «Graffiti, elemosinare aggressivo, disordine pubblico», scrivono, «sono tutti equivalenti dei vetri infranti: invitano a crimini più gravi e pericolosi», in una spirale perversa.
Ne parla Malcolm Gladwell, in “The tipping point”, ben tradotto in “Il punto critico” (Bur, 2006). Un saggio originale sui grandi effetti dei piccoli cambiamenti, il livello oltre il quale un cambiamento diventa inarrestabile, con velocissime “epidemie” comportamentali, sessuali, criminali. Utile per rileggere aspetti critici sia del lavoro d’impresa, come il marketing persuasivo e di alta incisività, che fa impennare le vendite, sia, all’opposto, relativi al degrado sociale, che può esplodere in modo virale, come una vera epidemia. In un lampo di tempo contratto e angosciato, le famiglie perdono il controllo degli sconosciuti chiamati figli, e le scuole degli sconosciuti chiamati allievi. Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Cinque adolescenti e una mamma muoiono in discoteca per le conseguenze di un gas urticante, decine restano ferite. E invece di cogliere la tragedia di queste vite troncate, decine di altri studenti imitano la “bravata” potenzialmente omicida, portando le bombolette perfino a scuola.
Esiste un’epidemia del crimine, dai graffiti alle bombolette, dal borseggio al bullismo, dalle rapine a mano armata agli omicidi seriali. Wilson e Kelling sostengono che il crimine è contagioso, e segue le leggi delle epidemie infettive: può iniziare con un vetro infranto, o due graffiti, e pervadere rapidamente un quartiere e un’intera città. Con i social, anche una nazione.
Ci sono evidenze che la legge dei vetri infranti sia di profonda e drammatica attualità? La questione si radica su un fatto fisico, biologico: quanto i nostri neuroni specchio fotografano un contesto e un modo di essere, e ci portano ad imitarli, soprattutto nella vulnerabile adolescenza. Kelling è stato chiamato a metà degli anni Ottanta come consulente della New York Transit Authority, in un periodo in cui la città aveva un record drammatico di delinquenza: 2000 omicidi e 600.000 reati maggiori all’anno. Le condizioni dei trasporti metropolitani erano tragiche: treni vandalizzati e coperti di graffiti, sporchi e pieni di immondizia, in ritardo, con una criminalità pervadente. La maggioranza dei viaggiatori non pagava il biglietto, saltando i controlli o forzando le macchine di timbratura: e quando erano rotte, anche le persone “normali” non timbravano e non pagavano più, con un passivo spaventoso per i trasporti urbani. Una devastazione. Una versione newyorkese dell’inferno dantesco: con un crescendo di arrogante impunità delle varie bande e di terrore viscerale nella popolazione che doveva usare il metro. Kelling ha convinto la Transit Authority, sindaco e polizia a seguire una strada pragmatica. «I graffiti sono il simbolo del collasso del sistema», sosteneva. «Se vuoi ricostruire un’organizzazione (i trasporti) e risollevare il morale delle persone perbene, devi vincere la battaglia contro i graffiti». Via i graffiti, riparazione dei treni e multe salate per i vandali. In parallelo, dieci poliziotti a controllare i documenti e il passato criminale delle persone che transitavano da ciascuna biglietteria automatica, in ogni stazione. Di fatto retate: uno su sette dei fermati aveva già compiuto diversi reati, uno su venti era armato. Con questa strategia, estesa ad altri reati “minori”, a New York omicidi e reati maggiori si sono ridotti del 75% in pochi anni. Invece di arrenderci al peggio, contrastiamolo cominciando dalle “piccole” cose, fino al punto critico: in cui anche il miglioramento diventa inarrestabile. Fatti, non parole.
Carattere, educazione, famiglia contano sì, ma il contesto, reale e virtuale, in cui viviamo è molto più potente nel condizionare i nostri comportamenti. Wilson e Kelling sostengono che il crimine è l’inevitabile conseguenza del disordine. Se una finestra è infranta e non viene riparata, le persone pensano che nessuno se ne cura e che nessuno è responsabile di ripararla. Altre finestre verranno infrante, e un senso progressivo di anarchia si impadronirà di quella strada, di quel quartiere. «Graffiti, elemosinare aggressivo, disordine pubblico», scrivono, «sono tutti equivalenti dei vetri infranti: invitano a crimini più gravi e pericolosi», in una spirale perversa.
Ne parla Malcolm Gladwell, in “The tipping point”, ben tradotto in “Il punto critico” (Bur, 2006). Un saggio originale sui grandi effetti dei piccoli cambiamenti, il livello oltre il quale un cambiamento diventa inarrestabile, con velocissime “epidemie” comportamentali, sessuali, criminali. Utile per rileggere aspetti critici sia del lavoro d’impresa, come il marketing persuasivo e di alta incisività, che fa impennare le vendite, sia, all’opposto, relativi al degrado sociale, che può esplodere in modo virale, come una vera epidemia. In un lampo di tempo contratto e angosciato, le famiglie perdono il controllo degli sconosciuti chiamati figli, e le scuole degli sconosciuti chiamati allievi. Con i risultati che abbiamo sotto gli occhi. Cinque adolescenti e una mamma muoiono in discoteca per le conseguenze di un gas urticante, decine restano ferite. E invece di cogliere la tragedia di queste vite troncate, decine di altri studenti imitano la “bravata” potenzialmente omicida, portando le bombolette perfino a scuola.
Esiste un’epidemia del crimine, dai graffiti alle bombolette, dal borseggio al bullismo, dalle rapine a mano armata agli omicidi seriali. Wilson e Kelling sostengono che il crimine è contagioso, e segue le leggi delle epidemie infettive: può iniziare con un vetro infranto, o due graffiti, e pervadere rapidamente un quartiere e un’intera città. Con i social, anche una nazione.
Ci sono evidenze che la legge dei vetri infranti sia di profonda e drammatica attualità? La questione si radica su un fatto fisico, biologico: quanto i nostri neuroni specchio fotografano un contesto e un modo di essere, e ci portano ad imitarli, soprattutto nella vulnerabile adolescenza. Kelling è stato chiamato a metà degli anni Ottanta come consulente della New York Transit Authority, in un periodo in cui la città aveva un record drammatico di delinquenza: 2000 omicidi e 600.000 reati maggiori all’anno. Le condizioni dei trasporti metropolitani erano tragiche: treni vandalizzati e coperti di graffiti, sporchi e pieni di immondizia, in ritardo, con una criminalità pervadente. La maggioranza dei viaggiatori non pagava il biglietto, saltando i controlli o forzando le macchine di timbratura: e quando erano rotte, anche le persone “normali” non timbravano e non pagavano più, con un passivo spaventoso per i trasporti urbani. Una devastazione. Una versione newyorkese dell’inferno dantesco: con un crescendo di arrogante impunità delle varie bande e di terrore viscerale nella popolazione che doveva usare il metro. Kelling ha convinto la Transit Authority, sindaco e polizia a seguire una strada pragmatica. «I graffiti sono il simbolo del collasso del sistema», sosteneva. «Se vuoi ricostruire un’organizzazione (i trasporti) e risollevare il morale delle persone perbene, devi vincere la battaglia contro i graffiti». Via i graffiti, riparazione dei treni e multe salate per i vandali. In parallelo, dieci poliziotti a controllare i documenti e il passato criminale delle persone che transitavano da ciascuna biglietteria automatica, in ogni stazione. Di fatto retate: uno su sette dei fermati aveva già compiuto diversi reati, uno su venti era armato. Con questa strategia, estesa ad altri reati “minori”, a New York omicidi e reati maggiori si sono ridotti del 75% in pochi anni. Invece di arrenderci al peggio, contrastiamolo cominciando dalle “piccole” cose, fino al punto critico: in cui anche il miglioramento diventa inarrestabile. Fatti, non parole.
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