“Ho 42 anni, due bambini di 8 e 6 anni, un marito affettuoso. Fulmine a ciel sereno, un cancro aggressivo al seno sinistro. Dovrò fare la chemioterapia, oltre alla mastectomia, perché ho anche i linfonodi presi. Uno shock terribile. I bambini sentono la mia inquietudine, la preoccupazione mia e di io marito: “Mamma, ma stai tanto male?”, chiedono. E’ il caso di dire loro di che cosa si tratta? E se sì, come dirlo?”.
Isabella T. (Gorizia)
Isabella T. (Gorizia)
Gentile signora, auguri di cuore, anzitutto. Intuisco la sua angoscia e capisco che, nello shock generale, anche il “come e se” parlare ai bambini sia un motivo di ulteriore sofferenza. Io penso che sia giusto parlare, in termini semplici: l’inquietudine senza nome causa ulteriore paura e angoscia, anche perché i bambini hanno mille antenne. Soprattutto quando sono preoccupati, captano tutto quello che si dice in casa, a livello verbale e non verbale.
Il punto è come e che cosa dire. La scelta va modulata a seconda dell’età, della maturità del bambino, del suo carattere: il bambino estroverso può esprimere meglio dubbi, paure, tristezze, ed essere aiutato; il bambino introverso può accumulare grande dolore interiore, e riportarne cicatrici interiori permanenti, senza che l’adulto quasi se ne accorga. Usare il linguaggio delle fiabe può aiutare a dire verità importanti e dolorose (“la mamma è malata e deve curarsi, ma guarirà”), mantenendo lo spazio di speranza e di fiducia: che la mamma ce la farà, e che anche il bambino crescerà più forte e coraggioso, avendo superato questa prova.
Ci ho riflettuto molto, ascoltando adulti che avevano avuto la mamma gravemente malata di tumore durante l’infanzia. Ma anche donne, mamme come lei, nella sua stessa situazione. Storie che mi hanno fatto molto pensare. Preferisco dar voce a una di loro, che ha scritto una fiaba suggestiva, partendo proprio dall’esperienza del dialogo con i suoi figli durante la malattia: il racconto de “Il lenzuolino nero” (in Fiabe sottosopra, Sestante Editore, Bergamo, 2012). Dice questa signora, Gabriella Baldari: «La fiaba condensa quello che la malattia mi ha insegnato: che abbiamo tutti paura, non solo chi si ammala in prima persona. Ma anche che con la paura si può convivere e anzi crescere e diventare persone migliori, più forti e più comprensive (noi e i nostri figli). Persone capaci di riconoscere di accettare la fragilità degli altri, perché hanno fortemente abbracciato la propria».
Il punto è come e che cosa dire. La scelta va modulata a seconda dell’età, della maturità del bambino, del suo carattere: il bambino estroverso può esprimere meglio dubbi, paure, tristezze, ed essere aiutato; il bambino introverso può accumulare grande dolore interiore, e riportarne cicatrici interiori permanenti, senza che l’adulto quasi se ne accorga. Usare il linguaggio delle fiabe può aiutare a dire verità importanti e dolorose (“la mamma è malata e deve curarsi, ma guarirà”), mantenendo lo spazio di speranza e di fiducia: che la mamma ce la farà, e che anche il bambino crescerà più forte e coraggioso, avendo superato questa prova.
Ci ho riflettuto molto, ascoltando adulti che avevano avuto la mamma gravemente malata di tumore durante l’infanzia. Ma anche donne, mamme come lei, nella sua stessa situazione. Storie che mi hanno fatto molto pensare. Preferisco dar voce a una di loro, che ha scritto una fiaba suggestiva, partendo proprio dall’esperienza del dialogo con i suoi figli durante la malattia: il racconto de “Il lenzuolino nero” (in Fiabe sottosopra, Sestante Editore, Bergamo, 2012). Dice questa signora, Gabriella Baldari: «La fiaba condensa quello che la malattia mi ha insegnato: che abbiamo tutti paura, non solo chi si ammala in prima persona. Ma anche che con la paura si può convivere e anzi crescere e diventare persone migliori, più forti e più comprensive (noi e i nostri figli). Persone capaci di riconoscere di accettare la fragilità degli altri, perché hanno fortemente abbracciato la propria».
Prevenire e curare – Ritrovare il tempo delle fiabe
Ritroviamo il tempo di leggere una fiaba ai nostra figli, la sera:
- vorranno risentire quella che parla di più al loro cuore, che dà una risposta implicita e acquietante alle loro paure più profonde;
- se la mamma è in ospedale, il papà o la nonna possono continuare a leggere la fiaba, la sera.
E’ una terapia della parola, e dell’amore che cura, che calma e rassicura, soprattutto nei momenti difficili.
- vorranno risentire quella che parla di più al loro cuore, che dà una risposta implicita e acquietante alle loro paure più profonde;
- se la mamma è in ospedale, il papà o la nonna possono continuare a leggere la fiaba, la sera.
E’ una terapia della parola, e dell’amore che cura, che calma e rassicura, soprattutto nei momenti difficili.
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