Cesare Lombroso, se esiste un aldilà, si sta godendo uno di quei momenti di trionfo che valgono una seconda vita. Psichiatra, antropologo e criminologo, nacque a Verona, nel 1835, da agiata famiglia ebraica. Medico accurato e attentissimo a cogliere segni e sintomi che sfuggivano ai più, fu il padre dell’antropologia criminale. Fu il primo cioè a sostenere e documentare come esista una relazione tra bruttezza, con particolari caratteristiche anatomiche del volto e del cranio, e vulnerabilità alla delinquenza. Sostenendo come vi sia addirittura una componente innata, oltre che acquisita, nella tendenza a diventare criminali. Furiosamente criticata, specie post mortem, in particolare negli anni Settanta, che vedevano nella delinquenza la colpa di soli condizionamenti negativi sociali, la tesi del nostro Lombroso sta riavendo una seconda primavera. Un recentessimo studio americano, svolto su 15.000 studenti universitari, ha dimostrato come la componente estetica, specialmente del volto, sia un fattore predittivo indipendente di successo nella vita, o di fallimento sul fronte “perbene” e di vulnerabilità a comportamenti devianti, fino alla franca criminalità.
In positivo, l’essere belli, o più belli della media, costituisce un indubbio dono del destino: fin da piccolo, il bambino bello cattura spontaneamente più baci, abbracci, carezze e complimenti, rispetto a un bambino esteticamente meno fortunato. Altri studi documentano come, a parità di Quoziente Intellettivo (QI), gli insegnanti ritengano più intelligenti gli allievi belli, e li gratifichino con voti più alti. Nel lavoro, ahinoi, un altro studio americano ci dice che una donna bella, a parità di mansioni, guadagna in media il dieci per cento in più rispetto a una di moderata grazia e che quest’ultima, comunque, ha in busta paga fino al trenta per cento in più rispetto a una brutta.
L’anatomia, o meglio la fisionomia, contiene dunque un destino. Così la vedeva Lombroso. E così sembrano confermare i dati più recenti che ci vengono dal mondo professionale: il mercato premia, e non solo al femminile, chi abbia quel talento speciale in più che si chiama bellezza, o almeno fascino. Che l’interesse per le opere di Lombroso non sia riemerso solo con questi ultimissimi studi, d’altra parte, ma sia continuato in tutto il Novecento e ai giorni nostri, lo dimostra la vivacità di citazioni sul suo nome presente, per esempio, su Google: ben 120.000... Questo medico curioso della vita e dell’umanità ebbe anche il rigore di documentare le sue intuizioni sulle relazioni tra fisionomia e vulnerabilità alla delinquenza con rigorosi studi anatomici. Ma scrisse anche pagine memorabili sul rapporto tra anatomia e genialità. Scienziato fino all’ultimo, quando morì, nel 1909, chiese al genero, diventato nel frattempo suo assistente, di fargli l’autopsia, cerebrale inclusa, per documentare ogni caratteristica anche del suo cervello, oltre che di quello di centinaia di malati psichiatrici e delinquenti che aveva esaminato nell’esercizio della sua professione. Quasi a dire che l’obiettività dello scienziato non deve avere eccezioni di studio, nemmeno su se stesso.
Esiste una plausibilità nel rapporto tra bruttezza e vulnerabilità all’emarginazione sociale fino alla criminalità? Forse sì. Soprattutto se la bruttezza, o la non bellezza, si associa a condizioni socioeconomiche disagiate. Il bambino e l’adolescente non esteticamente dotati, se benestanti, potranno sempre contare sulla possibilità di coltivare altri talenti: intellettuali, sportivi, musicali. E quello che non hanno dalla bellezza potranno ottenerlo dalla classe, dall’educazione, dallo stile, dal fascino, che è spesso un misterioso intreccio fra doti intellettuali ed emotive e caratteristiche fisiche, non necessariamente perfette. Oggi più di ieri potranno anche ricorrere al chirurgo per rimediare un naso non proprio greco, uno strabismo congenito, un mento eccessivo o le orecchie da Dumbo. Con lo sport o la danza daranno al corpo quella bellezza che potrà aiutare anche il volto. Chi invece nasce in un contesto degradato, se in più è anche brutto, ha poche chances di riscatto. E gli/le sarà più facile aderire a un’identità negativa, in cui l’autostima si costruisce sull’essere capace comunque di farsi rispettare nel gruppo degli emarginati, o di quelli che abitano il lato oscuro della società, fino a raggiungere una posizione prominente in quell’ambito. Ed è fra i brutti che si trova il gruppo più ampio di coloro, uomini e donne, che rifiutati dal mondo che ama i belli, ma impossibilitati o incapaci di coltivare altri talenti, si arrendono all’autodistruzione con alcool o droghe, con la prostituzione o la delinquenza di sopravvivenza.
C’è un’eccezione al destino segnato dalla fisionomia? Sì: e con una grande responsabilità da parte di genitori, educatori, insegnanti. Un bambino amato si sente più bello di uno non amato. Un bambino coccolato sente in un gesto di tenerezza una gratificazione enorme anche sulla percezione del suo valore. Noi adulti dovremmo essere più generosi di complimenti, di tenerezza, di uno sguardo luminoso e gratificante, proprio con i bimbi meno belli. Dovremmo apprezzare ancora di più i loro sforzi per fare bene, per imparare meglio, per essere gratificati nelle loro abilità.
E dovremmo prendere sul serio i loro “complessi” e i loro sentimenti di inferiorità, anche sul fronte estetico: soprattutto oggi, in una società dell’immagine che è feroce verso chi non sia esteticamente dotato. Un adolescente preso sul serio, e curato per un’acne che lo fa sentire diverso da tutti gli altri, recupera fiducia e autostima e crede di più al proprio valore, a scuola e fuori. Il bambino non bello, ma con un talento istintivo per lo sport, quella che chiamiamo intelligenza motoria, potrà avere una vita di soddisfazioni e una gratificante immagine di sé, se lo incoraggiamo a coltivare il suo talento migliore, invece di basarci solo sulla sua capacità di risultato scolastico.
Sta a noi adulti non fare della bellezza di un bambino l’unico parametro su cui fondare il suo destino.
In positivo, l’essere belli, o più belli della media, costituisce un indubbio dono del destino: fin da piccolo, il bambino bello cattura spontaneamente più baci, abbracci, carezze e complimenti, rispetto a un bambino esteticamente meno fortunato. Altri studi documentano come, a parità di Quoziente Intellettivo (QI), gli insegnanti ritengano più intelligenti gli allievi belli, e li gratifichino con voti più alti. Nel lavoro, ahinoi, un altro studio americano ci dice che una donna bella, a parità di mansioni, guadagna in media il dieci per cento in più rispetto a una di moderata grazia e che quest’ultima, comunque, ha in busta paga fino al trenta per cento in più rispetto a una brutta.
L’anatomia, o meglio la fisionomia, contiene dunque un destino. Così la vedeva Lombroso. E così sembrano confermare i dati più recenti che ci vengono dal mondo professionale: il mercato premia, e non solo al femminile, chi abbia quel talento speciale in più che si chiama bellezza, o almeno fascino. Che l’interesse per le opere di Lombroso non sia riemerso solo con questi ultimissimi studi, d’altra parte, ma sia continuato in tutto il Novecento e ai giorni nostri, lo dimostra la vivacità di citazioni sul suo nome presente, per esempio, su Google: ben 120.000... Questo medico curioso della vita e dell’umanità ebbe anche il rigore di documentare le sue intuizioni sulle relazioni tra fisionomia e vulnerabilità alla delinquenza con rigorosi studi anatomici. Ma scrisse anche pagine memorabili sul rapporto tra anatomia e genialità. Scienziato fino all’ultimo, quando morì, nel 1909, chiese al genero, diventato nel frattempo suo assistente, di fargli l’autopsia, cerebrale inclusa, per documentare ogni caratteristica anche del suo cervello, oltre che di quello di centinaia di malati psichiatrici e delinquenti che aveva esaminato nell’esercizio della sua professione. Quasi a dire che l’obiettività dello scienziato non deve avere eccezioni di studio, nemmeno su se stesso.
Esiste una plausibilità nel rapporto tra bruttezza e vulnerabilità all’emarginazione sociale fino alla criminalità? Forse sì. Soprattutto se la bruttezza, o la non bellezza, si associa a condizioni socioeconomiche disagiate. Il bambino e l’adolescente non esteticamente dotati, se benestanti, potranno sempre contare sulla possibilità di coltivare altri talenti: intellettuali, sportivi, musicali. E quello che non hanno dalla bellezza potranno ottenerlo dalla classe, dall’educazione, dallo stile, dal fascino, che è spesso un misterioso intreccio fra doti intellettuali ed emotive e caratteristiche fisiche, non necessariamente perfette. Oggi più di ieri potranno anche ricorrere al chirurgo per rimediare un naso non proprio greco, uno strabismo congenito, un mento eccessivo o le orecchie da Dumbo. Con lo sport o la danza daranno al corpo quella bellezza che potrà aiutare anche il volto. Chi invece nasce in un contesto degradato, se in più è anche brutto, ha poche chances di riscatto. E gli/le sarà più facile aderire a un’identità negativa, in cui l’autostima si costruisce sull’essere capace comunque di farsi rispettare nel gruppo degli emarginati, o di quelli che abitano il lato oscuro della società, fino a raggiungere una posizione prominente in quell’ambito. Ed è fra i brutti che si trova il gruppo più ampio di coloro, uomini e donne, che rifiutati dal mondo che ama i belli, ma impossibilitati o incapaci di coltivare altri talenti, si arrendono all’autodistruzione con alcool o droghe, con la prostituzione o la delinquenza di sopravvivenza.
C’è un’eccezione al destino segnato dalla fisionomia? Sì: e con una grande responsabilità da parte di genitori, educatori, insegnanti. Un bambino amato si sente più bello di uno non amato. Un bambino coccolato sente in un gesto di tenerezza una gratificazione enorme anche sulla percezione del suo valore. Noi adulti dovremmo essere più generosi di complimenti, di tenerezza, di uno sguardo luminoso e gratificante, proprio con i bimbi meno belli. Dovremmo apprezzare ancora di più i loro sforzi per fare bene, per imparare meglio, per essere gratificati nelle loro abilità.
E dovremmo prendere sul serio i loro “complessi” e i loro sentimenti di inferiorità, anche sul fronte estetico: soprattutto oggi, in una società dell’immagine che è feroce verso chi non sia esteticamente dotato. Un adolescente preso sul serio, e curato per un’acne che lo fa sentire diverso da tutti gli altri, recupera fiducia e autostima e crede di più al proprio valore, a scuola e fuori. Il bambino non bello, ma con un talento istintivo per lo sport, quella che chiamiamo intelligenza motoria, potrà avere una vita di soddisfazioni e una gratificante immagine di sé, se lo incoraggiamo a coltivare il suo talento migliore, invece di basarci solo sulla sua capacità di risultato scolastico.
Sta a noi adulti non fare della bellezza di un bambino l’unico parametro su cui fondare il suo destino.