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I chiaroscuri della fecondazione eterologa - Per i figli

19/10/2015

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

Che cosa desiderano i figli nati da un donatore o da una donatrice? Il 74% degli adolescenti che sanno di essere nati da eterologa desiderano incontrare il donatore, per conoscere le proprie origini e le proprie vulnerabilità dal punto di vista medico, secondo i dati ottenuti studiando le migliaia di risposte afferite al sito “donorsiblings.co”.
Conoscere il donatore non è sempre un’opzione felice. Anche questo aspetto non va idealizzato, perché l’impatto psicologico può variare molto da caso a caso. Per esempio, l’adolescente nata da donazione di sperma, che non va d’accordo con i propri genitori, in particolare con il padre anagrafico, può costruirsi un mondo di fantasie sul “vero papà”. E crollare nella disperazione quando scopre che quel padre donatore idealizzato le è profondamente estraneo o indifferente.
Quanti dei nati da donazione vorrebbero conoscere i fratelli? Moltissimi! Il 90% dei figli con genitori eterosessuali (HET), e l’84% di quelli in coppie lesbiche, gay, bisessuali o transgender (LGBT) vorrebbero conoscere eventuali fratelli o sorelle nati dallo stesso donatore o donatrice. Interessante: a 13 anni lo desidera il 38% dei figli di coppie HET, e ben il 74% dei figli di coppie LGBT. Un dato che meriterebbe un approfondimento a sé. Di quelli che tramite il web e ricerche genetiche sono riusciti a conoscere davvero i semi-fratelli o le semi-sorelle, il 38% ha descritto la relazione come “veri sorella e fratello”, il 18% come conoscenti, il 12% come buoni amici, il 9 % come parenti stretti, l’8% come cugini. Ci sono testimonianze molte belle su questi incontri, anche da parte dei genitori. Perché aiutano a uscire da un clima di inadeguatezza, di differenza, di stigmatizzazione e vergogna. Perché il senso di una famiglia allargata, ancorché più originale nelle dinamiche di concepimento rispetto alla famiglia tradizionale, dà un senso maggiore di appartenenza, che calma le ansie di solitudine e la paura di rifiuto sociale che per molti genitori e per molti figli di eterologa ancora si muovono nelle acque profonde dell’inconscio.
Per il bimbo nato da eterologa la domanda cruciale, che turba molti genitori italiani, è una sola: «Dirgli o no la verità? Quanto conta la riservatezza?». L’imprevedibilità delle risposte emotive e affettive della famiglia di origine, ma anche dei conoscenti, e la possibilità che frasi inopportune, come «quella non è tua mamma» o «quello non è tuo papà», vengano dette in modi e tempi sbagliati, porta molte coppie a scegliere la riservatezza. Per esempio, una coppia pugliese molto unita, che soffriva per l’azoospermia di lui, ha avuto ben tre figli con la fecondazione eterologa, quando in Italia era ancora possibile, prima del bando durato dieci anni con la legge 40. Erano talmente contenti del primo bambino che hanno chiesto al medico di concepire anche gli altri due con lo sperma dello stesso donatore. Tre bambini belli, sani, intelligenti, che si somigliano. Occhi neri e capelli neri, come la coppia, e un bel sorriso. Ho visto le foto. «Per noi quell’uomo è stato un angelo», mi ha detto la signora. «Questi bambini hanno portato la felicità nella nostra famiglia e anche in quella dei nonni». «Ne avete parlato con qualcuno?». «No», ha aggiunto lui. «Ci abbiamo pensato molto, poi abbiamo avuto paura dei pettegolezzi, delle cattiverie di paese. E abbiamo deciso insieme di stare zitti. Lo sa solo il ginecologo che ci ha aiutato, di una città del nord, e lei, ora. Per tutti sono solo figli nostri. Stanno bene, sono felici. Perché creare problemi a tutti?». Su questa linea ho incontrato molte altre coppie italiane. Come ha stigmatizzato una mia paziente: «La riservatezza è l’unico modo per non armare la mano (e la bocca) degli stupidi».
Sul fronte del “dire o no la verità” al bambino/a i fronti sono divisi su opposte posizioni. In USA prevale chi sostiene che si debba dire sempre e presto la verità. Una decisione che merita una riflessione accurata, attenta anche alle dinamiche della coppia, della famiglia e del contesto sociale. Per un bambino può essere serena e pacifica una verità detta presto, con garbo e tenerezza, all’interno di una relazione profonda e densa di amore e sensibilità. Per un altro, già disturbato da dinamiche familiari conflittuali e da ambivalenze, dire “la verità” con tempi e modi sbagliati potrebbe precipitare il piccolo in una profonda crisi di rifiuto personale, o perfino in una disperazione senza limiti. Anche questo è un aspetto che merita attenzione e riflessione, con la testa e con il cuore.

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