Il fatto: nel 2008, due fratelli genovesi, lei 19 anni, lui 16, accoltellano un amico, che suonava nel loro gruppo musicale, con 40 coltellate. Il ragazzo rischia la vita, viene sottoposto a molteplici interventi, sopravvive, resta segnato da cicatrici deturpanti e perde per sempre l’uso del braccio e della mano sinistra. Reso invalido da due fratelli che credeva amici. La famiglia della vittima ha chiesto i danni alla famiglia dei due potenziali assassini, di cui uno minorenne. Il Tribunale di Genova, ravvisando una precisa responsabilità dei genitori nei comportamenti antisociali dei figli minori, ha chiarito con molta fermezza che ne devono rispondere, anche economicamente.
Se questa sentenza verrà confermata, se diventerà una sentenza di riferimento, significa che qualcosa di sostanziale sta cambiando nello sguardo civile, e penale, con cui vengono valutati i comportamenti patologici dei giovani. L’adolescenza non sarà più la terra dell’impunità («tanto è minorenne»): i genitori dovranno rispondere dei loro figli.
Giusto o no? Giusto sì, perché quel ragazzo reso brutalmente invalido ha diritto ad essere risarcito, anche se la sentenza è penalizzante per questi due genitori. Che, oltre ad accorgersi (troppo tardi) di aver allevato due potenziali assassini senza disarmarli (simbolicamente) per tempo, rischiano di trovarsi ora su una strada.
Il principio di responsabilità ultima, affermato con la sentenza, dovrebbe scuotere le coscienze dei genitori e far serrare i ranghi dell’educazione su principi etici più solidi di quanto non sia successo negli ultimi anni. Non basta mettere al mondo i figli, seguirli come capita, «tanto finché son piccoli non c’è problema, e poi si arrangeranno», guardare la TV e pensare ai fatti propri. Un figlio non è solo un diritto, comporta anche dei precisi doveri educativi, per dare dei principi solidi (di cui il “non uccidere” dovrebbe essere un caposaldo inviolabile), delle regole, delle motivazioni. Esempi positivi e correzioni precoci ed adeguate, così da evitare quella deriva antisociale dei comportamenti che può sfociare in tragedia. Cominciando ad educare, con dolcezza e fermezza, fin da piccolissimi. Allevare dei piccoli tiranni, come oggi troppi genitori tendono a fare, rischia poi di rendere del tutto inefficaci interventi educativi più tardivi. E’ indispensabile educare a dominare l’impulsività. A non fare del verbo “voglio” il paradigma del rapporto del piccolo col mondo. A non consentire che la strategia del pianto, dell’urlo e della sceneggiata venga usata per far diventare sì anche i no più logici e pertinenti. I bambini sono rapidissimi nel capire sia come ottenere quello che vogliono, sia come inserirsi a cuneo in una coppia che abbia divergenze, educative e non solo. I piccoli vanno educati ad accettare i no, motivati, altrettanto e più importanti dei sì. Se i genitori non sono d’accordo su qualcosa che riguarda il bambino, dovrebbero avere la sensibilità e l’intelligenza di dirselo riservatamente, mantenendo invece uno stile educativo il più possibile condiviso, anche se separati.
Certo non è facile. A volte può essere estenuante, soprattutto quando si è stanchi, stressati e un sì, per chiudere le discussioni, è più facile di un no. La sentenza di Genova, in un caso estremo, ricorda però a tutti i genitori che il principio di responsabilità è anche economico. Domani potrebbe essere il momento dei genitori dei writer, o dei vandali, e così via. Amaro riconoscerselo: forse solo la sanzione o la condanna pecuniaria riescono oggi a far ricordare ai genitori il loro obbligo di educare al rispetto degli altri e della loro vita. Nella sostanza e nelle possibili conseguenze, in caso di inadeguatezze, carenze e omissioni educative.
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