Per i giovani (2.000.000, in Italia, che non studiano, non lavorano e non sono in formazione, i cosiddetti NEET, Not engaged in Education, Employment and Training), pesa il conflitto avvilente tra sogni grandi di vite “facili” (di cui oggi sono paradigma gli/le “influencers”) e la mancanza di strumenti reali per perseguirli. Molti di questi ragazzi non sono stati educati ad avere un metodo di studio e, quindi, nemmeno di lavoro; dominati dall’apatia, non sanno organizzarsi in modo costruttivo neppure la giornata. In una scuola che somiglia a un parcheggio esistenziale, non si acquisisce il gusto per il sapere, per la cultura, intesi come chiave per capire di più la vita e per acquisire strumenti efficaci con cui esprimere al meglio i propri talenti. Quella “libido sciendi”, quella voglia/sete/piacere di conoscenza, di cui parlò per primo Sant’Agostino, e poi Sigmund Freud, che è la grande assente in molta scuola contemporanea. Senza gusto nell’imparare, anche nel lavoro manuale e artigianale, è difficile andare lontano. E non è entrata nella testa dei genitori, prima ancora che dei ragazzi, la regola delle 10.000 ore: sono la soglia critica per poter volare in ogni professione e in ogni hobby. Senza applicazione, senza dedizione, senza impegno, senza pratica costante e quotidiana, non si va da nessuna parte. La protezione patologica dei figli da parte dei genitori, contro gli insegnanti, ha una sola vittima certa: il futuro dei figli stessi.
Futuro scolastico, professionale, economico, e domani procreativo, con una sessualità allo sbando, come è allo sbando la loro mente. Il sesso diventa “fluido”, senza identità, sperimentale e occasionale, con corpi vissuti come oggetto di piacere temporaneo, qui e ora, senza relazioni significative. Il desiderio è fugace, instabile, vulnerabile, affamato di continue novità. Al punto che è diventato “normale” ricorrere a diversi aiuti chimici per sentirsi vivi sull’onda. Questa sessualità sregolata, fluida, fantasmagorica all’apparenza, copre in realtà un’epidemia di solitudini. Che negano l’evidenza restando in contatto continuo via social, eccitandosi sul web o aggregandosi per sentirsi vivi, con bullismi pericolosi. La retorica sulla “bellezza della fragilità” è insidiosa: idealizza uno stato transitorio, che ha una sua funzione evolutiva, quando ben compreso e vissuto, per farne uno stato permanente dell’essere, foriero di inquietudini, di disistima, di asfissia del coraggio di vivere e di (ri)mettersi in gioco fino in fondo.
I genitori dovrebbero chiedersi: cosa sta facendo mio figlio/a? Si sta preparando alla vita, oppure a una fiction di vita? Sarà un ragazzo solido, forte, ardente, coraggioso e competente, o un ragazzo frustrato, triste o aggressivo, col cervello bruciato dall’alcol e dalle droghe, che “leggere” non sono mai? Gli insegnanti dovrebbero chiedersi: sto stimolando il gusto di sapere, di capire, di mettersi alla prova? Un adolescente incapace sia di impegnarsi con costanza in ciò che gli sta a cuore, sia di vivere relazioni significative, non ha le basi per costruirsi un futuro in cui essere orgoglioso e felice di sé. In cui battere la recessione, in tutte le sue declinazioni. Sogno realizzabile, purché ciascuno si assuma le proprie responsabilità, verso se stesso e verso gli altri, con azioni concrete, nella vita quotidiana.
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