Figlio del medico di un paese montano della Navarra, Ramon y Cajal ebbe una vita avventurosa. Aveva otto anni quando un fulmine distrusse il campanile del paesino in cui viveva e quasi uccise il parroco, impressionando tutti i bambini, Santiago in primis. Sviluppò una fascinazione per la potenza tremenda e inquietante della natura, e una parallela fede nella possibilità della scienza di comprenderla e governarla. Giunse in fin di vita per una cachessia grave da malaria, contratta mentre lavorava nell’esercito come capitano medico a Cuba, colonia spagnola che cercava l’indipendenza. Entusiasta e appassionato, era affascinato e motivato dalla possibilità «di studiare la vita degli infinitamente piccoli: cellule e batteri».
Perché, tra mille possibilità, Ramon y Cajal scelse quella poetica e suggestiva metafora, che mi colpì molti anni fa, agli inizi della mia (parallela) vita da giornalista scientifica per le neuroscienze? La farfalla, leggera, leggiadra e libera, ha ispirato molte leggende sullo spirito vivente che ci anima, in culture lontane nel tempo e nello spazio. Il suo ciclo vitale è persuasivo: la sua metamorfosi è insieme misteriosa e carica di speranza. Inizia come bruco, oscura e informe larva, che si avvolge nel bozzolo, la crisalide. Dopo un periodo di letargo, di tempo sospeso e nascosto, che molte culture assimilano alla vita nel nostro corpo mortale, il bozzolo si apre per lasciar volare via una creatura delicata, bellissima e fragile. Completata la metamorfosi, la farfalla si muove allora nell’aria, cogliendo il meglio della vita, di fiore in fiore. Esempio perfetto dello spirito vitale, che nel suo speciale ciclo evolutivo lascia infine la oscura materia del corpo per portare in alto, con sé, l’anima, il meglio dello spirito.
I Greci con la parola “psyché” indicavano sia l’anima, sia la farfalla: una sintesi perfetta. I Romani vedevano nella farfalla l’anima di un uomo che esce dalla bocca, insieme al respiro vitale. Per i Giapponesi le farfalle sono lo spirito dei defunti. Se dopo un lutto una farfalla ci vola accanto, vuol dire che è l’anima della persona amata che ci torna vicino, lieve come una carezza sospesa: che ricorda, veglia e consola. Anche per i popoli nordici una farfalla dorata vicino a una tomba è un segno bellissimo: l’anima del defunto è stata accolta in Paradiso. Per gli indigeni nordamericani la farfalla, misteriosa e segreta, può parlare con il Grande Spirito: bisogna prenderla con delicatezza, per non ferirla, sussurrarle il desiderio o la preghiera più sentita. Nel silenzio del mondo la farfalla porterà quelle parole direttamente al Grande Spirito, perché la preghiera sia accolta.
In ogni Paese le farfalle vanno trattate con rispetto e gentilezza, perché sono messaggere dell’anima, la nostra parte migliore: ferirle, o peggio ucciderle, porta pena e sfortuna. I Russi, con una visione un po’ noir, le associano alle streghe, che sotto queste mentite spoglie si avvicinano agli umani: per questo anche in quel Paese le farfalle vanno trattate con rispetto. Una strega infuriata è una grana cosmica, per i vivi e per i morti.
Bellissima e ricca di speranza, infine, è proprio la metamorfosi: ci invita ad accogliere con ottimismo e fiducia ogni cambiamento affinché ci aiuti ad evolvere verso la bellezza, la leggerezza, la bontà e la poesia della vita, alle quali ognuno di noi dovrebbe aspirare.
Santiago Ramon y Cajal chiude il cerchio, quando lo scienziato si interroga sul mistero della psiche, di un’anima che va ben oltre l’anatomia. In che modo i nostri neuroni, potenti e vulnerabili, diventano pensiero? In che modo l’identità si consolida o si perde, attraverso molti mutamenti fin dal vivacissimo cervello dell’embrione? Non sappiamo. Sta a noi aver cura dei neuroni, con giusti stimoli e appropriate attenzioni, perché l’anima possa volare, dentro di noi e oltre a noi.
Cervello / Sistema nervoso centrale Neuroni e glia - Neuroplasticità