La ragazza minuta, riservata, capelli corvini che appena incorniciano il viso gentile, e occhi grandi vellutati tra il verde e l’ambra scura, come hanno le donne del Sud, viene da un paesino vicino a Matera, per un dolore cronico che non si riesce a curare. Mentre mi racconta i suoi sintomi, mi colpiscono lo sguardo riflessivo, intenso, sofferente e al tempo dolce, e la voce educata, accurata, musicale. La voce di una bambina amata e ascoltata con tenerezza. Per questo mi è venuta d’istinto la domanda sulla nonna. Il dialogo diventa un contrappunto tra la voce che narra dell’infanzia e di quanto è pesata quella perdita, e il racconto accorato di un dolore che pervade e consuma. Dolore fisico, di evidente origine compressiva, neurologica, a torto etichettato come “psicogeno”. E dolore emotivo, il dolore dell’assenza, quando viene a mancare la persona che più sapeva contenere il dolore – le piccole e grandi sofferenze della vita – con un abbraccio, una carezza, una parola affettuosa che cura e consola.
Quanti pensieri in un attimo! Ci sono incontri inattesi che brillano come stelle: per le emozioni che evocano, per i ricordi che fanno riaffiorare in fondo al cuore, per le idee e le intuizioni. Quante biblioteche di famiglia stiamo perdendo, incuranti come siamo, frettolosi e disattenti? Incapaci di ascoltare per più di una manciata di secondi? Quanta memoria si perde, quante lezioni di vita, ma anche quanta storia di famiglia? Che è poi la nostra identità più vera e profonda, il gioco delle somiglianze e delle differenze, delle passioni e dei talenti, della vita e della saggezza che passa nelle generazioni. Quel distillato di sapere che cura e che Rachel Naomi Remen, pediatra e psicoterapeuta dei morenti, racconta nel suo libro “Kitchen table wisdom” (Paperback Ed.), la “saggezza del tavolo da cucina”: perché è lì, mentre si prepara il pranzo o la cena, dove ci si ascolta più volentieri. E’ lì dove i bambini amano stare, giocando con la farina, come quando ancora si cucinava davvero. Così è stato anche per me. Lì, dove i profumi di quella cucina segnano per sempre nella memoria l’identità più profonda: che è fatta degli odori e dei profumi di quella casa, di quella famiglia, che scrivono nella memoria con il senso più potente, l’olfatto, i racconti che resteranno per sempre con noi. Perché l’olfatto ha questa caratteristica: ci consente di ricordare per memorie complesse, evoca cioè un ricordo che coinvolge tutti i sensi e le emozioni più forti a quel tempo provate. Il profumo del cibo di casa ha un potentissimo potere calmante, come lo hanno i racconti fatti senza fretta, mentre si cucina. E molte nonne mi hanno confermato che i loro nipotini di ogni età adorano stare in cucina, e sentirsi raccontare le storie “di una volta”, con un gusto tanto maggiore se la nonna “cucina davvero”. Come se anche nella memoria profonda dei bambini ci fosse un ricordo stratificato da millenni del cucinare vero, in cucina, stando insieme, e una nostalgia di ritrovare quel tempo morbido e dedicato.
Le nonne, ma anche i nonni, come biblioteche preziose del libro più esclusivo, che racconta la storia della propria famiglia, unica e irripetibile. Senza quella storia, perdiamo le fondamenta profonde del nostro essere, della nostra identità. Torniamo ad ascoltare i nostri vecchi: anche nel racconto ripetuto c’è una verità profonda, che nutre adulti e bambini. In un mondo così massificato, conformista e veloce, è saggio ritrovare uno spazio-tempo dedicato, per ascoltare storie uniche e conversare con calma. Tanto meglio se intanto si cucina. L’alfabeto degli affetti e l’identità profonda della famiglia passano ancora per i profumi di casa e i racconti che risalgono il tempo e parlano di noi, nelle voci di un piccolo mondo antico. Da tramandare, prima che bruci.
Anziani Famiglia e rapporti familiari Memoria e ricordi / Amnesia Riflessioni di vita