Che genitori saranno allora questi nostri figli, sempre più numerosi nelle società ad alto reddito, che oggi hanno un’identità sessuale crescentemente fluida? Intanto, una parte di loro arriverà a una identità più solida con 5-10 anni di ritardo. Come se il prolungamento dell’adolescenza fosse per loro ulteriormente diluito in una fase fluida a 360 gradi, che interessa anche l’orientamento sessuale e la professione. Uno studio prospettico su adolescenti femmine con queste caratteristiche ha infatti dimostrato che nell’arco di 8 anni, dai 16 ai 24, un terzo circa si orientava in modo definitivamente omosessuale, un terzo continuava a definirsi bisessuale e un terzo approdava all’eterosessualità. Orizzonte sul quale si sposta ancora più tardi un gruppo ulteriore delle bisessuali, quando scatta il desiderio di maternità.
La fluidità dell’identità tocca anche il profilo professionale, con la tendenza a cambiare più iter di studi e lavori, prima di trovare quello giusto, e un maggior rischio di “perdersi per strada”. Più rare e ancora più vulnerabili a rotture e lacerazioni sono le coppie stabili, come se la mancanza di un’identità solida rendesse più fragili anche le basi della relazione.
Sul fronte figli, i giovani dall’identità fluida sceglieranno cicogne molto tardive. Quelle precoci arrivano invece per “sbadataggine”, come dicono a volte, e irresponsabilità. In genere non sono accolte. Per coloro che, decidendo tardi, specie sul fronte femminile, si orientano poi per la fecondazione eterologa, ecco un dato molto interessante. Dal sito “donorsiblings.com”, che ha al mondo il maggior numero di utenti (oltre 46.000 persone, fra donatori di gameti e riceventi), emerge che a 13 anni desidera conoscere eventuali fratelli o sorelle nati dallo stesso donatore e/o donatrice il 38% dei figli di coppie eterosessuali, e ben il 74% dei figli di coppie lesbiche, gay, bisessuali o transgender (LGBT).
Che genitori saranno? Lo scenario è molto a chiaroscuri, anche se l’attuale visione “politicamente corretta” di queste tematiche tende a dare un quadro più ottimistico di quanto la realtà clinica faccia intravvedere. Prima di dire che “non c’è differenza”, forse dovremmo riflettere sul fatto che se per 7.998 generazioni i bambini hanno avuto un padre e una madre, una ragione evolutiva solidissima ci sarà. Le acque profonde dell’inconscio, e dei bisogni affettivi fondamentali, sono molto più lente a mutare degli attuali vertiginosi cambiamenti di scenario consentiti dalla procreazione medico assistita. Nelle società ad alto reddito è sempre più riconosciuto il diritto dell’individuo a vivere la propria identità, fluida o meno, e sessualità adulta come crede, purché sia consensuale. Ma credo che il diritto di un bambino di avere, almeno all’inizio, un padre e una madre auspicabilmente responsabili sia prioritario e più importante rispetto al diritto del singolo individuo di avere un figlio sempre e comunque. Dire che l’“amore basta”, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento dei genitori, significa negare il valore e il significato di molti aspetti legati all’identità sessuale, essenziali anche per una serena e solida crescita dell’identità dei nostri figli.
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