Per ragioni misteriose, durante gli anni del liceo e dell’università, ero affascinata dall’ikebana, l‘antica arte orientale di disporre i fiori recisi, arrivata ai vertici dell’espressione poetica in Giappone. Il sabato mattina, tornata a casa per il fine settimana, andavo a cogliere con attenzione i fiori nel luminoso giardino, per disporli al meglio, pochi e scelti, per linee, colori, forma. Tre cose mi davano gioia: assaporarne intensamente la bellezza, anticipando nella mente la disposizione e il risultato, mentre li sceglievo; l’attenzione concentrata ed esigente nel disporli; e il sorriso affettuoso e soddisfatto di mio padre, quando entrando in soggiorno li guardava dicendo: «E’ tornato il mio angelo!».
Col lavoro serrato, l’ikebana era scomparso dalla mia vita. Uscendo di casa presto al mattino, e tornando tardi la sera, preferivo lasciare i fiori sui terrazzini che ho sempre cercato di avere, per passione genetica, ereditata da nonni e genitori. In questi giorni di duro lavoro clinico, scomparsi i congressi, vita sociale e sportiva azzerate, l’antica passione è riemersa, con altre vibrazioni.
Interessante, la storia dell’ikebana. Alle origini, esprimeva un’offerta devota agli dei. Pochi steli di fiori e rami sempreverdi. Scelti ed essenziali. La grazia non è questione di numero o di tripudio di colori: è capacità di cogliere l’assoluto, nella bellezza di un fiore e dell’insieme, inclusa la forma del vaso scelto per disporli. Ikebana, nell’essenza, è la “via dei fiori”, il cammino di elevazione spirituale secondo i principi dello Zen. Il sistema base è ternario: il ramo più lungo, il più importante, indica l’anelito verso il cielo, il più corto rappresenta la terra, l’intermedio l’uomo. L’armonia tra queste tre dimensioni è l’essenza della vita, del suo mistero, e di una ricerca infinita di senso. E’ la variante orientale dell’universale ricerca di vita interiore, e di risposte pregnanti alla fugacità della vita, che riemerge più forte nei periodi di crisi e di maggiore mortalità, per guerre o cataclismi.
E’ un’arte femminile, l’ikebana? No. Si narra che fosse praticata anche da grandi generali giapponesi, prima delle battaglie più impegnative. Un mattino, mentre disponevo con attenzione tre rami di forsizia color del sole e un narciso, tra due rami secchi e uno sempreverde, una piccola intuizione. Perché generali duri, determinati, spietati, per i quali essere al fronte significava poter morire e veder morire centinaia dei loro uomini, facevano ikebana il giorno prima della battaglia? Il fiore, e il fiore reciso soprattutto, ci parla intensamente della bellezza assoluta, brevissima e fragile della vita. E’ un invito a cercare la calma interiore concentrata, profonda, per cogliere ogni attimo, l’attimo fuggente, in tutta la sua intensità. E’ uno stimolo a riaccogliere dentro di noi, con pacata misura, l’immodificabile alternarsi di vita e di morte, che è parte ineludibile della musica della vita. Coltivata con attenzione, la via dei fiori allontana ansia e paura anche in chi combatterà e morirà al fronte, in prima linea. Può aiutare ognuno di noi, anche la persona più perdutamente innamorata della vita, come me, ad accettare con serenità l’idea della propria morte. Compagna di lavoro negli anni dell’oncologia in ospedale, che già mi si era avvicinata molto in passato, questa idea è diventata con il tempo un’amica silenziosa, con cui conversare, anche in questi giorni delicati. Un dialogo che può aiutarci a riflettere sull’inessenziale da lasciar andare. A comprendere e proteggere l’essenziale di una vita cui meriterà dire addio con un sorriso, pacificati. Lasciando qui ceneri felici, come mi piacerebbe. Chi ha fede spera nella vita eterna, guarda oltre.
La via dei fiori ci aiuta a restare qui, mentre siamo qui, con un’intensità perduta nelle nostre frenetiche vite. E’ un invito affinché questi giorni di chiusura in casa non siano “giorni senza nome”, come dicevano gli antichi aztechi, giorni senza storia, compressi e oppressi da notizie negative, nell’attesa spasmodica di tornare a correre fuori. Ma siano giorni di riflessione, da abitare con rinnovata consapevolezza e intensità. Ben venga la via dei fiori, o ogni altra via che ci riporti a coltivare silenzio e calma interiore. A video spenti. A social spenti. Guardando il cielo dalla finestra, respirando lentamente. Assaporando nell’aria, affacciati alla finestra, il profumo fresco e pungente di primavera e della vita che torna, ora che l’aria è più limpida e trasparente. Assaporando il cielo notturno, che ci parla di più, in queste notti silenziose e immense. Assaporando il molto che dimentichiamo, e merita riscoprire, prima che sia tardi.
Col lavoro serrato, l’ikebana era scomparso dalla mia vita. Uscendo di casa presto al mattino, e tornando tardi la sera, preferivo lasciare i fiori sui terrazzini che ho sempre cercato di avere, per passione genetica, ereditata da nonni e genitori. In questi giorni di duro lavoro clinico, scomparsi i congressi, vita sociale e sportiva azzerate, l’antica passione è riemersa, con altre vibrazioni.
Interessante, la storia dell’ikebana. Alle origini, esprimeva un’offerta devota agli dei. Pochi steli di fiori e rami sempreverdi. Scelti ed essenziali. La grazia non è questione di numero o di tripudio di colori: è capacità di cogliere l’assoluto, nella bellezza di un fiore e dell’insieme, inclusa la forma del vaso scelto per disporli. Ikebana, nell’essenza, è la “via dei fiori”, il cammino di elevazione spirituale secondo i principi dello Zen. Il sistema base è ternario: il ramo più lungo, il più importante, indica l’anelito verso il cielo, il più corto rappresenta la terra, l’intermedio l’uomo. L’armonia tra queste tre dimensioni è l’essenza della vita, del suo mistero, e di una ricerca infinita di senso. E’ la variante orientale dell’universale ricerca di vita interiore, e di risposte pregnanti alla fugacità della vita, che riemerge più forte nei periodi di crisi e di maggiore mortalità, per guerre o cataclismi.
E’ un’arte femminile, l’ikebana? No. Si narra che fosse praticata anche da grandi generali giapponesi, prima delle battaglie più impegnative. Un mattino, mentre disponevo con attenzione tre rami di forsizia color del sole e un narciso, tra due rami secchi e uno sempreverde, una piccola intuizione. Perché generali duri, determinati, spietati, per i quali essere al fronte significava poter morire e veder morire centinaia dei loro uomini, facevano ikebana il giorno prima della battaglia? Il fiore, e il fiore reciso soprattutto, ci parla intensamente della bellezza assoluta, brevissima e fragile della vita. E’ un invito a cercare la calma interiore concentrata, profonda, per cogliere ogni attimo, l’attimo fuggente, in tutta la sua intensità. E’ uno stimolo a riaccogliere dentro di noi, con pacata misura, l’immodificabile alternarsi di vita e di morte, che è parte ineludibile della musica della vita. Coltivata con attenzione, la via dei fiori allontana ansia e paura anche in chi combatterà e morirà al fronte, in prima linea. Può aiutare ognuno di noi, anche la persona più perdutamente innamorata della vita, come me, ad accettare con serenità l’idea della propria morte. Compagna di lavoro negli anni dell’oncologia in ospedale, che già mi si era avvicinata molto in passato, questa idea è diventata con il tempo un’amica silenziosa, con cui conversare, anche in questi giorni delicati. Un dialogo che può aiutarci a riflettere sull’inessenziale da lasciar andare. A comprendere e proteggere l’essenziale di una vita cui meriterà dire addio con un sorriso, pacificati. Lasciando qui ceneri felici, come mi piacerebbe. Chi ha fede spera nella vita eterna, guarda oltre.
La via dei fiori ci aiuta a restare qui, mentre siamo qui, con un’intensità perduta nelle nostre frenetiche vite. E’ un invito affinché questi giorni di chiusura in casa non siano “giorni senza nome”, come dicevano gli antichi aztechi, giorni senza storia, compressi e oppressi da notizie negative, nell’attesa spasmodica di tornare a correre fuori. Ma siano giorni di riflessione, da abitare con rinnovata consapevolezza e intensità. Ben venga la via dei fiori, o ogni altra via che ci riporti a coltivare silenzio e calma interiore. A video spenti. A social spenti. Guardando il cielo dalla finestra, respirando lentamente. Assaporando nell’aria, affacciati alla finestra, il profumo fresco e pungente di primavera e della vita che torna, ora che l’aria è più limpida e trasparente. Assaporando il cielo notturno, che ci parla di più, in queste notti silenziose e immense. Assaporando il molto che dimentichiamo, e merita riscoprire, prima che sia tardi.
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