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Il cimitero delle auto: quanti moniti inascoltati

25/03/2013

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

I cimiteri non sono posti allegri. Quello delle auto lo è meno di tutti: i cadaveri lacerati della auto, dei camion, dei furgoni, sono lì, esposti alla ruggine e alle intemperie che li rendono ancora più desolati. Come tutti i cimiteri, tuttavia, aiutano a pensare. Soprattutto se si ascolta quello che i vecchi cadaveri hanno da dire. Di voglia di raccontare ne hanno tanta, anche perché nessuno li visita e tanto meno li ascolta. Ci porterei i miei allievi, se fossi un’insegnante elementare, ma anche delle medie o delle superiori. Incoraggerei i miei ragazzi a intervistare le auto, soprattutto quelle che mostrano le ferite più gravi, quelle fatali. Potrebbero apprendere molto sul valore della vita e l’importanza di non buttarla via, più che da tanti discorsi. Ho provato anch’io ad ascoltare, in assorta solitudine.
Una vecchia utilitaria dal muso disfatto era la più ansiosa di raccontare: «La mia padrona era una brava donna. Tranquilla, gentile. Eravamo diventate vecchiette insieme. Mi teneva come un fiore. Di auto non capiva niente, ma mi lustrava tutte le settimane. Per i suoi giretti bastavo. Andava piano, a settant’anni non aveva fretta. In tutta la sua vita, mai un incidente. Poi, un giorno che pioveva, ma neanche troppo, un disgraziato ha fatto un sorpasso da matto e l’ha centrata in pieno. Morta sul colpo, non ho avuto neanche il tempo di dirle ciao. Se non avesse avuto quell’incidente, saremmo ancora insieme. Io sono finita qui, già valevo poco da viva... Ma è proprio brutto vedere una donnina gentile morire così».
La fuoriserie, più avanti, non è più allegra: «Quella sera me la sentivo. Il ragazzo che mi guidava aveva detto a suo padre: “Dai papà dammela, almeno stasera!”. “Ma ha la patente da tre mesi – avevo pensato tra me – vai proprio in cerca di guai!”. All’inizio il ragazzo guidava prudente. Mi sono rilassata: “Mi sono sbagliata”, mi son detta con un respiro di sollievo. Siamo arrivati in discoteca lisci. Senza problemi. In parcheggio, mentre lo aspettavo, mi sono fatta un sonnellino, tanto ero tranquilla. E’ uscito che erano le due, con tre amici. Appena si è seduto alla guida, ho sentito che non era più lui. Era come spinto dagli altri, non so come dire. Ridevano, cantavano. “Dai accelera, dai accelera”, gli dicevano. E io: “No, non così, va piano, va piano, ti dico, rallenta, non mi sai tenere!!! Rallentaaaa!!!!”. Ma lui non mi sentiva, era tutto teso. Aveva paura, aveva l’adrenalina che gli usciva dalle orecchie, ma non voleva farlo vedere. Era come se fosse guidato dagli altri, era diventato un automa, gli altri sempre più gasati. Sul rettilineo ha tenuto, ma alla prima curva secca è uscito dritto. Ha sfondato il guard-rail, cappottato tre volte. Morti sul colpo lui e altri due, un altro paralizzato per sempre. Io nuova, finita distrutta, un rottame, come mi vedi. La loro vita è finita a 18 anni e qualche mese. Quello che mi è sembrato più tremendo è la lezione che nessuno ha capito: suo padre gli ha dato la macchina, perché non è riuscito a dirgli di no. E lui è morto perché agli altri non è riuscito a dire di no. Se si dicessero più no, ai figli, o agli amici, o a se stessi, non saremmo così tante, così conciate, in questo cimitero…».
La piccola spider rossa è guercia dal colpo. Parla concisa: «La mia Franci era proprio simpatica. Ma aveva il vizio di truccarsi in macchina. Neanche il tempo di dirle: “No, Franci, no, il rimmel no!”. Un secondo dopo era schiantata, e io con lei». Rincalza il furgone: «Cosa vuoi che ti dica, qua di storie belle non ce n’è una. Adesso sono un po’ meno quelli che muoiono per la velocità, e quasi tutti son ragazzi in auto. Quelli dei camion, o dei furgoni, come l’uomo che mi guidava, si schiantano soprattutto per i colpi di sonno. “Corri corri, dormi poco, guadagni sempre meno – diceva lui a voce alta, bestemmiando – e prima o dopo finisci su un palo”. Due volte gli è andata bene: un fosso, ma andava piano, e un tamponamento, ma mi ero solo ammaccato un po’. La terza volta è andato giù fa un ponte, era notte, ci han trovati il giorno dopo…».
Anche dai cimiteri delle auto, così desolati, così tristi, c’è da imparare: se non sai dire, o dirti, di no, càpita che firmi una condanna a morte.

Incidenti Morte e mortalità Riflessioni di vita

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