Ho 52 anni e sto uscendo a stento dall’immenso dolore per la perdita del nostro unico figlio, per un tumore molto aggressivo, cinque anni fa. Mio marito è stato una presenza straordinaria: ci ha accompagnati in tutti i viaggi della speranza che fanno i disperati nelle nostre condizioni: dalla clinica oncologica più prestigiosa di New York ai santoni, utilizzando ogni nostra risorsa. Mio figlio voleva vivere, amava la vita sopra ogni cosa. E forse anche per questo è riuscito a vivere discretamente bene per quasi tre anni, nonostante all’inizio gli avessero dato pochi mesi di vita. Quando alla fine, esausto per questa lotta estenuante e per le cure sempre più aggressive, se ne è andato, io e mio marito siamo rimasti impietriti dal dolore. Pian piano mio marito si è ributtato nel lavoro, che aveva molto trascurato, ed è riuscito a ritrovare un suo equilibrio. Dice che il nostro ragazzo è sempre vicino a noi e che, anzi, per certi versi lo sente ancora più vicino di prima. Io invece non sono ancora riuscita a farmi una ragione della sua perdita. E anche se ho imparato a non far pesare sugli altri la mia disperazione, la mia nostalgia, il vuoto immenso che la sua mancanza ha lasciato dentro di me, e sembro serena, perché mi curo e per educazione sono molto riservata, in realtà dentro di me mi sento di ghiaccio. Mio marito, nella sua ritrovata serenità, vorrebbe anche riprendere i rapporti. Io proprio non me la sento, mi sembra quasi di fare un torto a mio figlio, lui morto e noi qui a divertirci. Sento che mio marito è ferito dai miei rifiuti. Da un lato vorrei farlo contento, perché gli voglio bene e riconosco che in quei lunghi anni di dolore è stato vicino a mio figlio e a me come pochi altri padri e mariti avrebbero fatto. Dall’altro mi sembra che per me la stagione dell’amore sia finita per sempre. Cosa posso fare, secondo lei?
Luciana
Luciana
E’ difficile sopravvivere a un figlio. Questa è forse la prova più tremenda che la vita può presentare a un genitore. Il rischio, che frequentemente si verifica, è che la coppia addirittura si spezzi, dopo un lutto simile. Per ragioni diverse, il dolore più spesso separa, invece di unire. Pesano e approfondiscono il senso di lontananza un modo diverso di vivere la perdita e il lutto, i differenti meccanismi psicologici che ciascuno mette in atto per affrontare il dolore della perdita, i comportamenti con cui cerca di continuare ad andare avanti. Per qualcuno, la morte di un figlio riaccende un diverso e più intenso gusto di vivere, quasi nello spirito di “vivere per due” e quindi anche per il figlio perduto, oltre che per sé. Per altri, come per lei, la pietrificazione emotiva diventa la regola. Il cuore sembra congelato per l’incapacità di andare oltre la perdita, che domina ogni orizzonte. Andandosene, sembra che il figlio abbia portato con sé ogni possibilità di gioia. E nella casa deserta, come dentro al cuore, resta solo la nostalgia della sua risata, della sua allegria, della sua presenza affettuosa, specie se con quel figlio c’era una particolare sintonia della mente e del cuore. Tanto più se era il figlio che ogni genitore avrebbe voluto, gentile e affettuoso, intelligente e premuroso, e insieme allegro e vitale e felice di esistere. Non abbiamo risposte per questa amputazione violenta che la vita, a volte, ci impone e non ci sono risposte univoche per recuperare un discreto equilibrio. Capisco, in particolare, quel senso di impossibilità di consentirsi di nuovo qualche piacere, di fronte all’irreparabilità dolorosa della morte. E tuttavia, proprio perché nei momenti più difficili la vostra coppia ha saputo far fronte al dolore in modo ammirevole, e siete riusciti a dare a vostro figlio il massimo della presenza e dell’aiuto, non solo individuale ma anche di coppia, io credo che ci possa essere uno spazio per recuperare anche un’intimità affettuosa. Credo che questo sarebbe il desiderio di ogni figlio che si sia sentito profondamente amato da entrambi i genitori. A volte noi ci priviamo di ogni piacere, dopo un lutto, quasi per espiare la colpa di essere sopravvissuti, di essere rimasti vivi. E tuttavia, anche il tempo dell’espiazione ha una sua musica dolente, e una sua fine. E’ proprio nello spirito che vi ha consentito di essere ancora più uniti nel dolore che è possibile ritrovare la misura per uscire dalla pietrificazione. Certamente nulla sarà più come prima. Eppure la vita, che è misteriosa, può consentire di scoprire misure diverse di sentirsi vicini, anche nel ricordo di un figlio adorato e perduto, anche nell’intimità ritrovata.