“Il passato è un lago oscuro. Sulle sue sponde sta piantato – a perenne monito – un grande cartello: «Vietato pescare». Inutile dire che le sue sponde sono zeppe di disperati, seduti inchiodati, con la canna da pesca in mano e la delusione nera del lago dentro agli occhi”.
Questo sostiene una mia divertente e saggia amica inglese, che di tanto in tanto me lo ricorda ridendo: “Alex, never fish back!”. La percezione della pericolosità, inutilità, insidiosità, del guardare indietro – perdendosi in rimpianti e in elucubrazioni ipotetiche del terzo tipo, ossia dell’irrealtà – è presente in tutte le culture. Una saggezza antica, biblica addirittura, ha ben sintetizzato lo stesso principio nella grande metafora della moglie di Lot. La quale, nel guardare indietro la città in fiamme da cui fuggiva, nonostante un preciso divieto – fuggire senza voltarsi – è diventata di sale. Possiamo leggere questo “diventare di sale” come un critallizzarsi nelle lacrime, che non consente più di guardare avanti. O come un perdere vita fino a pietrificarsi, in senso emotivo, progettuale, trasformativo.
Tutti noi abbiamo questo lago oscuro dentro al cuore. E tutti noi, nei momenti difficili della vita, ci sediamo pensosi e malinconici sulle sponde di quest’acqua nera senza luce, che calamita l’attenzione fino a non consentirci più di distoglierne lo sguardo. Qualcuno, divorato dal rimpianto, ci si tuffa per sempre. I più non si arrendono alla sua superficie scura e piatta, e, incuranti del cartello, cominciano a pescare. Possibilità mai sbocciate, piccole e grandi felicità distrutte dalle nostre mani incuranti o distratte, o dal destino, o abbruttite dalla sciatteria che involgarisce ogni sentimento, riemergono dalle acque per portarci solo nuove lacrime, e più profondi rimpianti. Pescare in questo lago divora immense energie. Tutte quelle che noi spendiamo con i “se” e i “ma”, e i ragionamenti sconsolati sulle altre vite che avremmo potuto vivere e non ci sono state, le irrisolutezze, le inconcludenze, le accidie, le viltà, gli attacchi di sfiducia, che non ci hanno consentito almeno di tentare di esistere in una misura più piena e appagante. Anche rischiando un po’, o molto.
Una delle pesche più frequenti, perché il fondo ne è zeppo, è quella del “blaming”, del rimproverare qualcun altro accusandolo della nostra infelicità. Questo, dopo la pietrificazione, è il secondo rischio peggiore. Perché portando l’incapacità di una vita migliore al di fuori del nostro raggio d’azione, e anche dalle nostre complicità e collusioni, ci rende di fatto impossibile il cambiare, inchiodandoci al passato in modo irreversibile.
E tuttavia, perché questo lago è così pericoloso, se tutti dal passato possiamo apprendere immensamente? Non è il lago in sé, che è foriero di morte – psichica e non solo – ma il modo con cui ci si cristallizza sulle sue sponde. E’ il sedersi fino a metterci radici. E’ il fissare il passato finché nessun’altra direzione di sguardo è possibile. E’ il fare di uno – o più – eventi traumatici del passato (chi non ne ha?) l’alibi per i fallimenti di una vita. E’ l’organizzare difensivamente tutti i nostri pensieri, invece di attingere alle risorse immense della nostra anima per superare anche i momenti bui, le ferite, le limitazioni, le sconfitte, di cui è disseminato, primo o dopo, per tutti, il cammino dell’esistenza. E’ il fare del passato il paradigma di sé e del proprio vivere, fino a diventare incapaci di pensarsi in altro modo.
E allora? Sì, penso anch’io che dal passato ben riletto si possa apprendere molto. Attenzione però: guardandolo di tanto in tanto, per confronto critico, ma con gli occhi ben consapevoli sul presente e sul futuro. Guardandolo in un prospettiva evolutiva, che sappia apprendere da errori e sconfitte. Guardandolo solo quando si sia sufficientemente forti per assumerci la responsabilità degli errori e delle impossibilità, evitando quella fuga sul gioco tremendo del “dare la colpa ad altri“ che oggi è uno sport nazionale e internazionale, oltre che un’infelice attitudine privata. Guardandolo con un’intuizione: quel passato ci dice solo quali stanze, di noi, abbiamo abitato. E ci incoraggia, in realtà, ad esplorare tutto il potenziale straordinario che c’è nella nostra casa interiore. Prima che tutto finisca in fondo al lago dei rimpianti.
Questo sostiene una mia divertente e saggia amica inglese, che di tanto in tanto me lo ricorda ridendo: “Alex, never fish back!”. La percezione della pericolosità, inutilità, insidiosità, del guardare indietro – perdendosi in rimpianti e in elucubrazioni ipotetiche del terzo tipo, ossia dell’irrealtà – è presente in tutte le culture. Una saggezza antica, biblica addirittura, ha ben sintetizzato lo stesso principio nella grande metafora della moglie di Lot. La quale, nel guardare indietro la città in fiamme da cui fuggiva, nonostante un preciso divieto – fuggire senza voltarsi – è diventata di sale. Possiamo leggere questo “diventare di sale” come un critallizzarsi nelle lacrime, che non consente più di guardare avanti. O come un perdere vita fino a pietrificarsi, in senso emotivo, progettuale, trasformativo.
Tutti noi abbiamo questo lago oscuro dentro al cuore. E tutti noi, nei momenti difficili della vita, ci sediamo pensosi e malinconici sulle sponde di quest’acqua nera senza luce, che calamita l’attenzione fino a non consentirci più di distoglierne lo sguardo. Qualcuno, divorato dal rimpianto, ci si tuffa per sempre. I più non si arrendono alla sua superficie scura e piatta, e, incuranti del cartello, cominciano a pescare. Possibilità mai sbocciate, piccole e grandi felicità distrutte dalle nostre mani incuranti o distratte, o dal destino, o abbruttite dalla sciatteria che involgarisce ogni sentimento, riemergono dalle acque per portarci solo nuove lacrime, e più profondi rimpianti. Pescare in questo lago divora immense energie. Tutte quelle che noi spendiamo con i “se” e i “ma”, e i ragionamenti sconsolati sulle altre vite che avremmo potuto vivere e non ci sono state, le irrisolutezze, le inconcludenze, le accidie, le viltà, gli attacchi di sfiducia, che non ci hanno consentito almeno di tentare di esistere in una misura più piena e appagante. Anche rischiando un po’, o molto.
Una delle pesche più frequenti, perché il fondo ne è zeppo, è quella del “blaming”, del rimproverare qualcun altro accusandolo della nostra infelicità. Questo, dopo la pietrificazione, è il secondo rischio peggiore. Perché portando l’incapacità di una vita migliore al di fuori del nostro raggio d’azione, e anche dalle nostre complicità e collusioni, ci rende di fatto impossibile il cambiare, inchiodandoci al passato in modo irreversibile.
E tuttavia, perché questo lago è così pericoloso, se tutti dal passato possiamo apprendere immensamente? Non è il lago in sé, che è foriero di morte – psichica e non solo – ma il modo con cui ci si cristallizza sulle sue sponde. E’ il sedersi fino a metterci radici. E’ il fissare il passato finché nessun’altra direzione di sguardo è possibile. E’ il fare di uno – o più – eventi traumatici del passato (chi non ne ha?) l’alibi per i fallimenti di una vita. E’ l’organizzare difensivamente tutti i nostri pensieri, invece di attingere alle risorse immense della nostra anima per superare anche i momenti bui, le ferite, le limitazioni, le sconfitte, di cui è disseminato, primo o dopo, per tutti, il cammino dell’esistenza. E’ il fare del passato il paradigma di sé e del proprio vivere, fino a diventare incapaci di pensarsi in altro modo.
E allora? Sì, penso anch’io che dal passato ben riletto si possa apprendere molto. Attenzione però: guardandolo di tanto in tanto, per confronto critico, ma con gli occhi ben consapevoli sul presente e sul futuro. Guardandolo in un prospettiva evolutiva, che sappia apprendere da errori e sconfitte. Guardandolo solo quando si sia sufficientemente forti per assumerci la responsabilità degli errori e delle impossibilità, evitando quella fuga sul gioco tremendo del “dare la colpa ad altri“ che oggi è uno sport nazionale e internazionale, oltre che un’infelice attitudine privata. Guardandolo con un’intuizione: quel passato ci dice solo quali stanze, di noi, abbiamo abitato. E ci incoraggia, in realtà, ad esplorare tutto il potenziale straordinario che c’è nella nostra casa interiore. Prima che tutto finisca in fondo al lago dei rimpianti.