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Il matrimonio più triste dell'anno

01/10/2007

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

C’è una sposa che nessuna di noi vorrebbe essere. In un giorno che il cuore vorrebbe felice, una donna in lacrime, ma di dolore e di disperazione, di nostalgia e di malinconia, di rabbia anche. Certo non di felicità. Un matrimonio con pochi familiari, tristi anche loro. Non in una chiesa vestita a festa, ma in una camera di rianimazione. La sposa, Francesca, 33 anni, madre di tre bambini di cui l’ultimo di appena tre mesi, conviveva con il suo uomo, Lorenzo D’Auria, da sei anni. Si è sposata in fretta, con Lorenzo in coma irreversibile, ormai in punto di morte. “In articulo mortis”, appunto, come prevede il Codice Canonico, in cui la possibilità di sposarsi è concessa in presenza di un concreto e reale pericolo di decesso di uno dei due contraenti, quando la volontà di farlo sia stata in precedenza espressa da entrambi i coniugandi in presenza di testimoni. Lui amava la sua professione, pericolosa per definizione, di agente segreto del Sismi. L’ultima missione, in Afghanistan, gli è stata fatale: è finita con due pallottole in testa e lesioni cerebrali irreversibili. Francesca si è trovata da sola, la più sola delle donne, in quel giorno usualmente di festa, senza nemmeno più un abbraccio, un sorriso, una carezza da scambiare con l’uomo che amava, papà dei suoi tre bambini. E tuttavia, senza quel matrimonio deciso in un baleno, sarebbe rimasta non solo sola, ma anche senza un futuro. Lo stato di convivente non dà infatti alla donna nessuno dei diritti riconosciuti invece alle vedove delle vittime in servizio.
La decisione di regolarizzare l’unione, così da alleggerire la situazione per lo meno dal punto di vista della vita quotidiana, sua e dei piccoli, è stata saggiamente presa dai familiari. In un raro esempio di tempestività, la risposta positiva si è esplicitata in un giorno. Tutte le lungaggini burocratiche abituali sono state rapidamente risolte grazie anche all’intervento del Ministro della Difesa. E così il Cappellano militare ha potuto celebrare le nozze più tristi dell’anno. Nella tragedia, con il pragmatismo di rimediare in extremis per lo meno il problema della sopravvivenza quotidiana.
Resta qualche riflessione amara. La prima riguarda anzitutto la spinosa questione delle missioni estere, in particolare in Afghanistan e in Iraq, di cui ormai gran parte di noi ha perso il senso, ammesso che ce ne sia stato uno. Certo, un agente segreto sa di poter morire in missione, più di altri. E tuttavia, è anche vero che alcuni territori hanno ormai in sé un potenziale di morte spaventoso, su cui è saggio meditare, per non mandare di fatto al massacro uomini che potrebbero servire il loro Paese molto meglio in missioni interne.
La seconda riguarda la necessità di regolarizzare meglio la situazione delle coppie conviventi, quando uno dei due partner parta per missioni ad alto rischio. Se Lorenzo fosse morto sul colpo, la situazione di Francesca sarebbe stata ancora più drammatica. E anche se è vero che poi, dopo infinite lungaggini, lo Stato a volte interviene a favore dei familiari, non c’è dubbio che una situazione chiarita e definita a priori eviti di aggiungere ulteriori umiliazioni, lungaggini burocratiche, questue tra infiniti uffici, prima di ottenere, nemmeno sempre, che lo stato di vedova di fatto venga equiparato allo stato di vedova legittima. Anche per evitare qualsiasi rischio di abuso, sarebbe essenziale tutelare entrambi i partner con un “living will”, una dichiarazione di ultime volontà, in questo caso di intento matrimoniale, così da tutelare il coniuge che resta, specie se con bambini piccolissimi che rendono anche difficile l’avere un lavoro a tempo pieno fuori dalla famiglia.
Certo, un matrimonio vero eliminerebbe il problema alla radice. E tuttavia, per tutti coloro che hanno scelto di convivere, e che preferiscono sentirsi liberi di riscegliersi ogni giorno, pensare almeno a una dichiarazione di intenti in senso coniugale potrebbe semplificare la vita di chi resta. Specie se hanno figli, verso i quali esiste comunque una responsabilità complessa, che include il provvedere all’educazione e al mantenimento. Purtroppo, soprattutto le coppie giovani, non ci pensano. Ecco che allora la coppia di fatto, rinunciando ai doveri impliciti nel matrimonio, rinuncia però anche ai diritti, per esempio di reversibilità della pensione, aspetto che diventa cruciale in caso di figli. Bambini per i quali lo stato di orfani può essere ancora più duro se l’assenza del padre si complica con un quotidiano cui nessuno provvede. Una riflessione da estendere a tutte le coppie conviventi, perché la vita, anche quotidiana, può essere misteriosamente e imprevedibilmente fatale, ogni giorno.

Guerra Morte e mortalità Rapporto di coppia

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