“Bella, buona e brava”: la bimba con le tre “b” è la gioia di ogni genitore, il suo orgoglio, il suo biglietto da visita (come padre o madre), a volte il suo motivo di rivincita da una vita non realizzata. Tutto bene, se la piccola, naturalmente dotata, cresce libera di esprimere i propri talenti, in una felice espressione di sé, senza rincorrere alcuna perfezione. Se il gioco, gli amici, gli svaghi non finalizzati ad alcun risultato sono parte integrante della sua vita. Se in qualche aspetto dell’esistenza può essere serenamente “imperfetta”, senza interferenze familiari: brava in matematica ma non in italiano, dotata per la musica ma senza vocazione per lo sport, o viceversa. In sintesi, che possa vivere la propria verità e crescere essendo pienamente se stessa: sfida più rischiosa proprio per le bimbe.
La trappola sottile e vischiosissima che avviluppa troppe bambine dotate scatta quando la piccola, sensibile e intuitiva, vuole rendere (più) felici i genitori, “compiacendoli”; oppure quando comincia a pensare: «Se sarò più brava, mi vorranno più bene» e/o «mi vorranno (ancora) bene». La trappola può scattare perché è nato un fratellino minore che sembra polarizzare le attenzioni di tutti; oppure perché i genitori si sono separati e la piccola pensa, nel modo misterioso dei piccoli: «E’ colpa mia, perché non sono stata abbastanza brava».
Quale che sia il fattore scatenante, inizia allora un percorso inconscio di trasformazione di sé, sulla linea del pirandelliano “Come tu mi vuoi”. In cui ogni obiettivo è condizionato più dalle aspettative degli altri che dai propri desideri. L’intensità dell’impegno, della volontà, della determinazione, uniti spesso a una ferrea disciplina auto-indotta portano a risultati brillanti nello studio, nello sport, nel lavoro, nella carriera, al successo professionale ed economico. Negli Stati Uniti sono donne 1/3 dei medici e degli avvocati e i 2/3 delle giornaliste, che includono Jill Abramson, direttrice del prestigiosissimo New York Times, e Tina Brown, a capo di Newsweek; il 17%% delle donne tra i 17 e i 30 anni guadagna più dei coetanei e il 40% delle donne americane guadagna più dei mariti. Un successo, dicono molti studi americani, il cui prezzo può essere altissimo: la perdita di sé, la sensazione di vivere una vita “non propria”, scritta da altri.
L’insoddisfazione, il senso di vuoto, abitano allora il lato oscuro di queste vite luminose, con tre grandi sintomi spia: 1. la depressione: tra le ragazze “perfette” tra i 15 e i 20 anni è doppia rispetto ai maschi; 2. i disturbi del comportamento alimentare, che arrivano ad un rapporto di 9 ragazze colpite rispetto ad 1 maschio; 3. le somatizzazioni da stress cronico.
Certo, benvenuta libertà di esprimere i propri talenti e raggiungere le vette della carriera e del ruolo, purché la propria vita non diventi ostaggio delle ambizioni accese da aspettative familiari che agiscono nell’inconscio e di cui ci si può rendere conto solo con molta riflessione. E’ prezioso, per ognuno di noi, ma di più per le donne “perfette”, ascoltarsi con attenzione: quello che sto facendo è quello che voglio veramente? Quali altre cose mi sarebbe piaciuto fare che non mi consento, perché tutte le mie energie vanno sul lavoro o sullo studio? Sono serena o c’è un tarletto di inquietudine che non posso più zittire? Anche perché il tarletto inascoltato prende altre forme, pur di stoppare questa corsa insensata verso un’irraggiungibile perfezione e riportare la donna a un migliore equilibrio. Può stimolare una fame compulsiva, segreta e notturna, o una “simpatia” per l’alcol che traveste il bisogno di oblio, per dimenticare ansie e angosce. Può vestirsi di depressione, o disarmare il sistema immunitario e aprire la via a malattie impegnative.
Ascoltarsi, rallentare la corsa e consentirsi un po’ di liberatoria “imperfezione” può essere la strategia migliore per pacificarsi con se stesse, gustarsi meglio i meritati risultati già ottenuti, e arrivare a poter dire, guardandosi dentro: «Sì, questa sono proprio io. Imperfetta, a chiaroscuri, ma mi piaccio tanto così!».
La trappola sottile e vischiosissima che avviluppa troppe bambine dotate scatta quando la piccola, sensibile e intuitiva, vuole rendere (più) felici i genitori, “compiacendoli”; oppure quando comincia a pensare: «Se sarò più brava, mi vorranno più bene» e/o «mi vorranno (ancora) bene». La trappola può scattare perché è nato un fratellino minore che sembra polarizzare le attenzioni di tutti; oppure perché i genitori si sono separati e la piccola pensa, nel modo misterioso dei piccoli: «E’ colpa mia, perché non sono stata abbastanza brava».
Quale che sia il fattore scatenante, inizia allora un percorso inconscio di trasformazione di sé, sulla linea del pirandelliano “Come tu mi vuoi”. In cui ogni obiettivo è condizionato più dalle aspettative degli altri che dai propri desideri. L’intensità dell’impegno, della volontà, della determinazione, uniti spesso a una ferrea disciplina auto-indotta portano a risultati brillanti nello studio, nello sport, nel lavoro, nella carriera, al successo professionale ed economico. Negli Stati Uniti sono donne 1/3 dei medici e degli avvocati e i 2/3 delle giornaliste, che includono Jill Abramson, direttrice del prestigiosissimo New York Times, e Tina Brown, a capo di Newsweek; il 17%% delle donne tra i 17 e i 30 anni guadagna più dei coetanei e il 40% delle donne americane guadagna più dei mariti. Un successo, dicono molti studi americani, il cui prezzo può essere altissimo: la perdita di sé, la sensazione di vivere una vita “non propria”, scritta da altri.
L’insoddisfazione, il senso di vuoto, abitano allora il lato oscuro di queste vite luminose, con tre grandi sintomi spia: 1. la depressione: tra le ragazze “perfette” tra i 15 e i 20 anni è doppia rispetto ai maschi; 2. i disturbi del comportamento alimentare, che arrivano ad un rapporto di 9 ragazze colpite rispetto ad 1 maschio; 3. le somatizzazioni da stress cronico.
Certo, benvenuta libertà di esprimere i propri talenti e raggiungere le vette della carriera e del ruolo, purché la propria vita non diventi ostaggio delle ambizioni accese da aspettative familiari che agiscono nell’inconscio e di cui ci si può rendere conto solo con molta riflessione. E’ prezioso, per ognuno di noi, ma di più per le donne “perfette”, ascoltarsi con attenzione: quello che sto facendo è quello che voglio veramente? Quali altre cose mi sarebbe piaciuto fare che non mi consento, perché tutte le mie energie vanno sul lavoro o sullo studio? Sono serena o c’è un tarletto di inquietudine che non posso più zittire? Anche perché il tarletto inascoltato prende altre forme, pur di stoppare questa corsa insensata verso un’irraggiungibile perfezione e riportare la donna a un migliore equilibrio. Può stimolare una fame compulsiva, segreta e notturna, o una “simpatia” per l’alcol che traveste il bisogno di oblio, per dimenticare ansie e angosce. Può vestirsi di depressione, o disarmare il sistema immunitario e aprire la via a malattie impegnative.
Ascoltarsi, rallentare la corsa e consentirsi un po’ di liberatoria “imperfezione” può essere la strategia migliore per pacificarsi con se stesse, gustarsi meglio i meritati risultati già ottenuti, e arrivare a poter dire, guardandosi dentro: «Sì, questa sono proprio io. Imperfetta, a chiaroscuri, ma mi piaccio tanto così!».