Ci sono denominatori comuni, in quelli che chiamiamo i grandi vecchi, uomini e donne? Grandi non perché sono famosi, o colti, o ricchi. No: perché hanno quel raro carisma che viene dall’essere se stessi, consapevolmente vivi, ancora più innamorati della vita, ancora aperti al nuovo, generosi di affetti, e attenti alla lieve bellezza di ogni giorno ancora da vivere.
Alcune cose mi hanno colpito più di altre, osservandone molti, e molte. Una sostanziale sobrietà, nello stile di vita. Per i più, fin da piccoli. In pochi, acquisita con saggezza, dopo anni più ardenti e sperimentali. Un’attenzione al corpo, alla salute del corpo, che parte dai fondamentali: cibi sani, rispetto del sonno, un bicchiere di vino senza eccessi, intestino regolare, niente fumo, un po’ di movimento fisico ogni giorno, meglio se passeggiando all’aria aperta, o lavorando nell’orto o in giardino, a seconda dell’estrazione sociale e delle passioni personali, nel lavoro e nella vita. Grande attenzione alla salute della mente: lettura, tanta; musica. Soprattutto, grande capacità di ascolto: soprattutto dei nipoti, o comunque dei più giovani. L’ascolto che sa accogliere, comprendere, confortare, consigliare: senza buonismo, anzi, ma con equilibrio, con la capacità di mettere gli eventi e gli errori in prospettiva. Un ascolto che arricchisce la mente di nuove esperienze, vissute attraverso il racconto; di nuove emozioni, che si confrontano con quelle una volta vissute in prima persona. Un ascolto “trasformativo”: che arricchisce e stimola il vecchio che ascolta, e il giovane o il bambino che parla di sé, e trova in un vecchio di famiglia, o un ex insegnante, un’oasi rara. Un’oasi in cui ripensarsi insieme a un uomo, o una donna, che hanno saggezza e morbidezza di sguardo sulla vita, ma anche la solidità rassicurante della vecchia quercia.
Questo sguardo accogliente, questa capacità di ascolto, sono amore sopraffino: sobrio eppure così intenso e confortante. Io li ho conosciuti, quell’ascolto e quello sguardo, con i nonni materni e una zia. E mi danno ancora forza. Alcuni consigli che sono state pietre miliari della mia educazione, quel calore affettuoso, quella tenerezza, ma anche quella forza quieta sono rimasti dentro di me, insieme a quel senso morale, alla serenità di aver compiuto il proprio dovere, nelle diverse stagioni della vita. Con sobrietà, come dicevo, ma al tempo stesso con l’attenzione al buon gusto e ai dettagli semplici che rendono più bella e dolce la vita: come il giardino curato con cura, il cibo preparato con amore, la musica, la conversazione accurata con il nonno dopo la lettura dei quotidiani, o con la nonna, ripetendo a voce alta le lezioni per il giorno dopo.
Non ci si improvvisa grandi vecchi. Anche quella è un’arte. E’ il compimento di un saper vivere che si snoda con passo diverso nelle diverse stagioni. Ci si prepara a una grande e luminosa vecchiaia, in cui si è un tesoro per gli altri e non un peso, se si coltiva fin da piccoli la grande salute, del corpo e della mente. Se si è generosi di affetti e di emozioni, invece di essere egoisti e lamentarsi solo dei propri guai. Se si coltiva la capacità di accogliere con amore e di ascoltare. Qualità così rare e preziose, oggi, da essere seducenti come il canto di una sirena. Un vecchio che sa ascoltare non sarà mai solo. O sola. Nell’età avanzata, il compito più alto di un uomo, di una donna, è restare un riferimento affettivo e morale della famiglia, o comunque dei più piccoli. E allora lo sguardo conserverà la passione e la curiosità per la vita, con un segreto speciale. Lo stesso che fa dire al grande Goya, nel suo autoritratto da vecchio, “Aùn aprendo”: imparo ancora.